Acidi raggi melodici sull’asfalto grigio di Nuova York

THE MEN New York City (Fuzz Club)

Noise evangelico, post hardcore coi capelli al vento, psichedelia alla griglia, art rock suscettibile in grado di fratturarti il setto nasale, country diagonale (o, se preferite, cow punk), space rock da fattoni tedeschi, fino al progressivo digrado verso un classic rock figlio di tutti e di nessuno, che alza un gran polverone southern.

In quindici anni di spasmodica attività musicale i newyorkesi The Men hanno coperto l’intero arco costituzionale del rock and roll underground. Una eterogeneità, seppur all’interno di un perimetro definito, che è stata una delizia ma anche una discreta croce.

Diciamo che negli ultimi album, fino a Mercy del 2020, di dritto o di rovescio Neil Young, Bob Dylan, Creedence Clearwater Revival, finanche i Doors, sono entrati sempre più nei loro dischi: tutti, o quasi, marchiati Sacred Bones.

E si iniziava ad averne abbastanza.

Col passaggio alla Fuzz Club i prolifici broccolini Mark Perro e Nick Chiericozzi si fanno una bella nuotata nelle acque torbide. A piene bracciate. Nessun intellettualismo in questi dieci pezzi saturi, registrati in presa diretta in un’inevitabile medio-bassa fedeltà. Dentro c’è solo l’asfalto grigio di New York illuminato da acidi raggi melodici.

L’apertura affidata a Hard Livin’ è un manifesto d’intenti con quel piano parkinsoniano, le chitarre a frusta bdsm, la voce stiracchiata che arriva direttamente dai bassifondi disastrati del garage punk.

Ancor più estrema l’isterica progressione hard stoner di Echo che si sfalda nello slabbratissimo anthem r’n’r God Bless The USA. La lentezza minacciosa di Eye e Round The Corner rappresenta i quasi 1.000 km che dividono New York da Detroit. Proto punk basico, depravato, spossante, in puro stile Stooges. Through The Night riporta ai tempi del glam punk vagabondo non ancora mascherato con zeppe, lustrini e inutili chincaglierie, che si divertiva a struprare l’hard rock. In chiusura si tira il fiato nella luminosa disperazione paisley di Anyway I Found You e con River Flows che pare un cero acceso alla memoria di Mark Lanegan.

New York City è un album r’n’r punk coi controcazzi.

Ciò che avete appena letto è la versione espansa della recensione pubblicata su RUMORE di febbraio 2023.

SONNY VINCENT e TESTORS: New York punk heroes

Testors

Si abusa spesso di termini quali seminali e pionieristici ma in questo caso ci stanno tutti, nonostante Sonny Vincent e i suoi Testors siano inspiegabilmente assenti dalla storiografia punk newyorkese tanto da non comparire, neppure per sbaglio, nella bibbia Please Kill Me di Gillian McCain e Legs McNeil.
La prima volta che ho visto Sonny Vincent dal vivo è stato nel 2003 in quel gran bel posto che era l’Indhastria di Giulianova, di fronte a quattro gatti. Dove, per la cronaca, fece un concerto della madonna con una band altrettanto della madonna che, tanto per dire, schierava al basso un certo Ivan Julian (Voidoids e molto altro). In quella circostanza Sonny si fece quattro chiacchiere con l’amico Paolo Marini. L’intervista e una mia storia sulla sua straordinaria avventura musicale finirono su MOOD n. 11, un free press che facevamo qui a Teramo.
L’occasione per ricontattare questo eroe minore del punk a stelle e strisce mi è stata servita su un piatto d’argento dalla ristampa della raccolta Complete Recordings 1976-1979 a firma Testors Featuring Sonny Vincent. Parte di quello che state per leggere è finita nella rubrica Flashback di Rumore di febbraio 2015, il resto è roba inedita rimasta fuori per questioni di spazio.
La raccolta, pubblicata nel 2003 dalla Swami con tutto il materiale del segreto meglio nascosto del punk newyorkese del ’77, è stata ripubblicata a fine 2014 dalla tedesca Alien Snatch! su doppio LP arancione (37 pezzi) e doppio cd (41 pezzi), entrambi con copertina apribile o gatefold per chi non parla come mangia. Un manufatto discografico monumentale con 11 inediti registrati in studio nel biennio ’76-’77 che mostrano una band già matura nel tirare pugni punk e flirtare con il r’n’r di strada, non facendosi mancare ballate decadenti da pelle d’oca. I brani live fanno assaporare l’aria di quegli anni al Max’s e al CBGB’s. Il secondo disco contiene gli inediti del ’79 compresi Together e Time is Mine, i 2 pezzi che finirono sull’unico 7” del 1980.
Roba incendiaria, ieri come oggi.

La storia di Sonny Vincent ha radici antiche. Già nei primi anni ‘70, spiantato e senza fissa dimora, inizia a fare pratica con Distance, Liquid Diamonds e FURY, band ancor più sconosciute dei Testors che nella seconda metà del decennio hanno calcato i palchi prestigiosi della grande mela, come mi dice lui stesso, gentile e particolarmente loquace.

C’è stato un momento nel quale si doveva scegliere se essere una band del CBGB’s o del Max’s. Noi suonavamo in entrambi i posti, nessuna esclusività. La verità è che suonavamo ovunque riuscissimo a ottenere un ingaggio”.

L’essere così randagi e ostinati non li ha di certo aiutati. Nondimeno resta un mistero che i Testors in vita abbiano inciso un solo singolo. E pensare che Joey Ramone pare girasse con un loro nastro che tirava fuori quando gli chiedevano consigli su come suonare punk:

Non voglio dire cose negative perché al momento mi sto divertendo e sono in un buon momento, ma per rispondere alla tua domanda onestamente quando ero nei Testors avevo un odio viscerale per i meccanismi del music business, cosa che mi porto dietro ancora oggi. La gente sarebbe sorpresa se conoscesse veramente i meccanismi che aprono la strada a una band. Tra il ’75 e il ’79 il mio unico obiettivo era quello di creare musica onesta, urgente e con una integrità a prova di proiettile. Non è mio stile sputtanare le persone ma posso dirti che il bassista di uno dei principali gruppi della scena faceva sesso con il presidente di una casa discografica e pure con sua moglie. Prima di essere un bassista era un marchettaro; nonostante la sua band fosse incredibile e rivoluzionaria, firmarono un contratto discografico per questi motivi. Non abbiamo mai inviato nastri o demo alle grandi case discografiche perché rappresentavano tutto ciò che odiavamo. In realtà non abbiamo inviato alcun demo in giro e non abbiamo mai incontrato uomini d’affari che ci potessero aiutare. Il materiale completo dei Testors ristampato ora su Alien Snatch! è stato registrato per lo più nel nostro loft da Carl Cuminale, un amico del Bronx. È stato meglio così perché ero molto esigente sul suono e sull’approccio e non volevo che un produttore rovinasse tutto. I ‘ragazzi’ dei Testors stanno per lo più a New York ma non sono più attivi nella musica. Sono ancora in contatto con loro, abbiamo un buon rapporto”.

Testors Featuring Sonny Vincent "Complete Recordings 1976-1979"

La vita di Sonny è stata durissima, segnata dal Vietnam, da riformatori, droga, carceri, ospedali psichiatrici. Tuttavia, al contrario di quanto si possa pensare, ai margini del luccichio sballato che fa tanto immaginario rock:

La scena di allora era molto vivace, eccitante, popolata di persone meravigliose, ma c’era sempre un lato viscido e io ne stavo fuori. La scena ‘junkie’ la trovavo noiosa, non sono mai stato un fan di William Burroughs e odiavo il dramma che circondava tutte quelle stronzate con Johnny, Jerry e Willie; non era proprio la mia idea di ‘cool’. Nella tradizione della letteratura e del r’n’r è stato creato a tavolino un enorme immaginario di coolness, ma non era davvero cool. Anche se mi piaceva sballarmi e fare cazzate, non era il mio stile di vita quotidiano. Noi Testors eravamo molto intensi ma in un modo diverso, non consideravamo la musica come un party, per noi era una questione di vita o di morte. Ok, eravamo giovani, ma credevamo che le sorti del mondo dipendessero da noi”.

I Testors sono stati rivalutati negli anni ‘90, soprattutto in Europa, con i due 10” dati alle stampe dalla tedesca Incognito e con l’album del 1999 assemblato dalla nostra Rave Up Records nella incredibile serie American Lost Punk Rock Nuggets. Chiedo a Sonny come se lo spiega e se magari sia dovuto anche alla sua frenetica attività in quel periodo. Penso agli Shotgun Rationale nelle cui fila sono passati Bob Stinson dei Replacements, Cheetah Chrome dei Dead Boys, Greg Norton degli Hüsker Dü, Spencer P. Jones dei Beasts Of Bourbon, Chris Romanelli dei Plasmatics, ecc. Alla sua lunga collaborazione con Moe Tucker, o all’album Pure Filth a nome Sonny Vincent & His Rat Race Choir, ovvero il supergruppo con Cheetah Chrome, Captain Sensible dei Damned, Scott Asheton degli Stooges e Scott Morgan della Sonic’s Rendezvous Band.

Non saprei, sinceramente. Eravamo incasinati in un sacco di storie, non avevamo un album, tantomeno una promozione adeguata, ma devo anche ammettere che parte della responsabilità è stata mia: ero un selvaggio, niente affatto interessato ad avere a che fare con contratti e avvocati. Detto questo, in tutta onestà, ho sempre saputo che un giorno i Testors sarebbero stati rivalutati. Sentivo che prima o poi il nostro lavoro sarebbe stato apprezzato senza il clamore e la pubblicità. Sono molto soddisfatto del fatto che le persone ci hanno scoperto ora e posso dirti che è esattamente come dovrebbe essere! Non potrò mai avere degli incubi tipo ‘Oh se solo non avessimo dato ascolto a quel fottuto produttore o a quel cazzo di manager’. La musica dei Testors è cruda e meravigliosa, e sarà così per sempre”.

Una vita quella di Sonny vissuta in strada dall’età di 13 anni, solo per la musica che lo ha portato a collaborare con un’infinità di leggende del rock. Oltre alle già citate aggiungerei Sterling Morrison, Richard Hell, Jim O’Rourke, Thurston Moore, Ron Asheton e Jimmy Page. Ma su chi sia stato il migliore musicista con cui abbia suonato e quale la miglior band dell’epoca del Max’s del CBGB’s mi dà una risposta che non mi aspetto. O forse sì, a pensarci bene:

Bobby Stinson. Una persona complessa, un folle pieno di sensibilità che un giorno mi disse sarebbe morto la musica. Gli volevo bene, mi manca davvero tanto… sulla miglior band non ho alcun dubbio: i Suicide di Alan Vega e Marty Rev”.

A 60 anni suonati Sonny Vincent, il cui vero nome è Robert Ventura, macina ancora grandioso r’n’r con la sua fedele Les Paul a tracolla. L‘album Cyanide Consommé pubblicato nel 2014 su Big Neck è una bomba. Non sono da meno gli album-raccolta del 2015 Plutonium Dreams e Psycho Serenades. In quest’ultimo “infila 14 serenate psicotiche, pescate per lo più dal passato, che sbranano tanti giovinastri pim-pum-punk dei giorni nostri. Per tirare una bella linea basterebbe l’apertura magniloquente affidata alla ballata elettrica Black Sea, anthemica al cubo”, come ho scritto nella recensione pubblicata su Rumore #284.

Sonny Vincent con il nipote Cayden

Nel concludere vi vorrei invitare a una buona azione. Un azione più punk di quanto si possa pensare. Un anno fa, esattamente il 2 gennaio 2016, un esplosione di gas ha provocato un tremendo incendio che ha sconvolto per sempre le vite del figlio di Sonny Vincent, Robert, di sua moglie Sarah e del piccolo Cayden di appena 9 anni. I tre sono rimasti pesantemente ustionati e hanno perso tutto quello che avevano. La buona azione è contribuire alla raccolta fondi per le loro cure mediche attraverso questo indirizzo: https://www.gofundme.com/xnvynbcc oppure versare ciò che potete tramite PayPal all’indirizzo e-mail: sonnyvincentpersonalmail@gmail.com. Che il rock and roll vi abbia in gloria.