Faccia d’angelo, oh… ci son cascato di nuovo

ANGEL FACE – Angel Face (Slovenly Recordings)

Sono in quattro, vengono da Tokyo, fanno punk ’77 in bassa fedeltà dal forte appeal melodico, andando a pescare nelle frattaglie macilente del r’n’r anni ‘50 e ‘60. Fin qui nulla di eclatante. Ma facciamo i bravi cronisti e esponiamo in sintesi anche le 3 W mancanti.

Alla fine del 2020 Fink – figura centrale del punk giapponese degli ultimi 35 anni, ex America Soul Spiders, Teengenerate, Firestarter, ecc. – lascia la sua band dell’epoca, i Ruler, e si unisce ad alcuni amici, tra i quali Toyozo dei Fadeaways, per una nuova avventura musicale. La cosa naufraga velocemente per scazzi interni ma Toyozo è impressionato dalle nuove canzoni di Fink e gli chiede di continuare a suonare insieme. Così tirano dentro la batterista Rayco, iniziano a fare qualche concerto in giro e in brevissimo tempo registrano il primo demo. Ai loro concerti c’è spesso un folle che balla come un tarantolato in mezzo al pubblico, Hercules, batterista dei Sensitive Lips e degli ottimi power poppers The Choosers. Impossibile non notarlo. È lui l’anello mancante. Nell’estate del 2021 lo imbarcano alla “voce tremolante” e il gioco è fatto. Sul finire del 2023 esce su vinile il loro album d’esordio omonimo. Zero fronzoli. Copertina nera con su la scritta Angel Face rossa a caratteri cubitali.

L’ottima recensione del decano Luca Frazzi, pubblicata su Rumore di marzo, inizia così: “Forte del suo totale anacronismo, questo disco spicca per coraggio e incoscienza, condizione necessaria per candidarsi a next big thing del suono post Ramones, mezzo secolo nel quale non abbiamo fatto altro che ascoltare riascoltare il solito giro di chitarre e due coretti stupidi al limite della demenza, sempre gli stessi. Dure a morire, certe cose.”

Cosa aggiungere su questi dieci pezzi che superano a malapena 20 minuti? Be’, che il suono è riconoscibile eppure maledettamente fresco, originale, tutto proiettato in avanti sulle ali di una melodia acidula, lo-fi, claudicante che, nel genere, non si ascoltava da anni. Bad Feeling, Big City, Right Time, That’s Enough, il trattore ubriaco I Can’t Stop sono calamite bubblegum punk a presa rapida che ti risucchiano e ti fanno cadere nella trappola con tutte le scarpe. Insomma: chi sta dentro questa roba, e magari tiene i primi titoli Lookout! in una teca e una discreta collezione di singoli Rip Off, faticherà a togliere dal piatto questo splendido vinile che gira a 45 rpm. Garantito.

https://slovenly.bandcamp.com/album/angel-face-angel-face-lp

Il punk’n’roll selvaggio degli splendidi rottami neozelandesi

THE CAVEMEN – Ca$h 4 Scrap (Slovenly Recordings)

Chi avrebbe scommesso un solo euro che i Cavemen potessero arrivare a tagliare il traguardo del quinto album in dieci anni d’attività? Gruppi di tal fatta (si) bruciano per gli eccessi o muoiono naturalmente dopo l’ennesimo disco uguale al precedente. Ma fateli voi dischi così brutali, scassati, sanguigni e soprattutto “credibili”, nonostante un immaginario da dannati del r’n’r abusatissimo che a loro – e a pochi altri – si perdona.

La buona notizia è che i rottami neozelandesi di Auckland, da diversi anni di stanza a Londra e oramai pilastri della variegata scuderia della “santa” Slovenly – questo è il terzo album sulla label statunitense del giramondo Peter Menchetti – aborrono sempre l’alta fedeltà. Che si tratti di correre con scarponi da carpentiere sull’autostrada punk (Booze Ciggies ‘N Drugs), spruzzare melodia r’n’r con un estintore oversize (Without You, Can’t Remember Your Name, Hanging Up), scendere nella cripta garage fatti come cammelli (Drug Man, Satan II) o abbandonarsi inermi al dondolio roots (Flowers On My Grave). Ça va sans dire che più parliamo di punk’n’roll selvaggio, oltre che un bel po’ bizzarro. E che Ca$h 4 Scrap e un altro di quei dischi da non farsi scappare.

I chiari di luna di Lars

LARS FINBERG
Moonlight Over Bakersfield
(In The Red)

A fine 2017 è uscito come un fulmine a ciel sereno il primo album di Lars Finberg, l’uomo dietro A-Frames e Intelligence: due band che ho amato molto per la capacità di prendere il post-punk e cucinarlo a bagnomaria nel lo-fi con la maestria di cuochi stellati e l’impudenza nervosa di Mark E. Smith dei Fall. Non è un caso che nel 2000 il nostro abbia messo su una piccola etichetta battezzata Dragnet Records.

Sfuggendo dalle facili classificazioni, nel corso del tempo Lars Aldric Finberg si è creato una cifra stilistica precisa e riconoscibile. È un artista curioso, aperto alle collaborazioni e mai troppo sicuro di se stesso (diciamo anche un po’ depresso), il che me lo rende simpatico a prescindere. Per dire: è uno che ha messo lo zampino negli Oh Sees, di recente si è ributtato nell’interessante collettivo Puberty e per questo esordio solista si è affidato a Ty Segall di cui ha detto: “Mi si sono storte le dita per quante tastiere mi ha costretto a suonare e gli avrei strappato volentieri un ciuffo di capelli quando sparava il mix in cuffia a volume esagerato. A parte questo, durante la lavorazione dell’album ci siamo fatti un sacco di risate e vedere Ty con una grande tazza di cacao in mano seduto su una comoda sedia di legno ha reso l’atmosfera molto rilassata”.

Moonlight Over Bakersfield, per chi se lo stesse chiedendo, è il suo album “cantautorale”, intendendo l’aggettivo tra mille virgolette. Una roba art lounge no wave punk, tastierosa, bizzarra e stretta nella morsa della malinconica: penso a pezzi gonfi di spleen come Iffy Love dove Ty Segall presta la voce o alla rarefatta Ambiverts che squarcia il cielo plumbeo con una batteria tonante e chitarre stratificate. Ma d’altronde, come detto in apertura, Lars ha sempre imboccato percorsi trasversali. Ascoltando l’interludio Myopic Blue Heaven ho subito pensato a dei Tame Impala sotto metadone in overdose di vocoder; con la conclusiva Alone Alas si è materializzata di fronte ai miei occhi miopi la gustosa immagine di Kevin Parker preso a calci nel culo da quel vecchietto di Ennio Morricone. In Born Shopping irrompono nientemeno che i B-52’s per via della voce di Lauren Marie Mikus. Blaxploitation, surf, sirene mediche, bassi pulsanti e melodia dilatata fanno di Empty Network un gran pezzo. Isle Of Lucy spinge con chitarre ovali a tutto fuzz e, ancora, la voce di Ty. A proposito del biondino californiano, c’è pure Mikal Cronin al sax elefantiaco in Benevolent Panic e nel pezzo d’apertura Permanent Prowl.

GEORGE ORWELL 1984 … THE ORWELLS 2014

Sono rimasto di stucco quando ho ascoltato l’esordio lungo di questi ragazzetti di Chicago. E non era un barbatrucco. Era del maledetto e intramontabile rock’n’roll. Fresco, sfacciato, attraversato da mille influenze diverse e da una vena melodica storta e attraente. Al disco, recensito su RUMORE, appioppai un bell’otto. Stesso voto al 10” Other Voices recensito un anno dopo sempre su Rumore. Avessi potuto avrei dato un dieci tondo tondo all’esibizione al David Letterman Show dove la band si è prodotta in una grandinante versione di Who Needs You dall’omonimo EP pubblicato sul finire del 2013.

Ieri mi è arrivata una e-mail dall’entourage del gruppo che mi informava del nuovo album intitolato Disgraceland, in uscita i primi di giugno, anticipato dal video di Let It Burn: un pezzo epico, molto paisley secondo me.

Be’, sono contento che l’album esca su una major (Atlantic) perché ‘sti ragazzetti se lo meritano un po’ di successo. Ci sanno fare davvero, soprattutto il cantante Mario Cuomo e il chitarrista Dominic Corso che tradiscono chiare radici italiane. E sono contento pure perché forse ci avevo preso tessendo le loro lodi in tempi non sospetti. Io che spingo sempre e solo perdenti, persi, perduti. Gruppi scaduti, musicisti brutti, sporchi e spesso pasciuti.

THE ORWELLSRemember When (Autumn Tone)

cover The OrwellsLe ragazze, la scuola, l’America, i giubbetti di jeans con le toppe, la spavalderia adolescenziale e l’ansia suburbana tradotte nel lingua del rock and roll; dagli Stones ai Dead Kennedys, dai My Bloody Valentine ai Black Lips. Magari è la solita storia, di gruppi così ne sono nati e ne nasceranno sempre ma, ascoltate uno stronzo, di questi Orwells sentiremo parlare perché sanno saltellare dall’acerba freschezza e paraculaggine dei Libertines (Mallrats) ai Birthday Party in modalità frat rock (Halloween All Year, Never Ever). Perché hanno capito che il post-punk non è solo muscoli e nervi (Ancient Egypt) e la melodia ce la vuole sempre (Hallway Homicide), meglio se grattugiata come il parmigiano (In My Bed). Perché il loro Sixties garage guarda altrove (Suspended, Painted Faces and Long Hair). Perché ci hanno appena 17 anni e hanno confezionato un cazzo di disco fulminante. Da RUMORE di gennaio 2013

THE ORWELLSOther Voices (East End/Canvasback/National Anthem/Burger)

Orwells_OtherVoicesMi sono sperticato di lodi per il loro esordio lungo. Ora sono in buona compagnia: da Dave Sitek dei TV On The Radio, qui alla produzione, agli Artic Monkeys che li hanno assoldati per il tour americano. D’altronde l’indie-garage dei 18enni di Chicago è davvero contagioso. Diretto e sonico nella title track, emozionante al punto di stringere la bocca dello stomaco in Blood Bubbles. Chiude la versione live della bella e libertinesiana Mallrats. Da RUMORE di febbraio 2014