L’unico frutto del r’n’r è la banana

cover Trio BananaMi sa che la colpa è tutta di quel Warholaccio quando ha infilato la sua banana nello storico album dei Velvet Underground. O forse dei Pretty Things che, sempre nell’anno di grazia 1967, diedero vita al progetto parallelo The Electric Banana. Fatto sta che la Musa acuminata è diventata il frutto del r’n’r deviato ben prima di diventare l’unico frutto dell’amor scanzonato: The Bananas, Bananamen, Melt-Banana, Bad Banana, Black Bananas, ecc.
Anche nel Belpaese non ci siamo fatti mancare la nostra putrida banana r’n’r. Potrei parlarvi del singolo Banana rock di Clem Sacco datato 1959, ma lasciamo perdere. Meglio cianciare del TRIO BANANA, tre folli come gli unici tre che qui sopra a Rumore (chi vi scrive, Pecorari Scanio e quella gloriosa vecchia talpa di Frazzi) escono pazzi per i rifiuti solidi sonori della Bubca Records, l’etichetta del Trio. Tab_Ularasa alla sei corde e alla voce da tossicomane, Wolfman Bob al basso e Doctor Dead alla batteria srotolano tappeti polverosi di psichedelia come un venditore ambulante del Gran Bazar di Istanbul colpito da ictus e subito dopo persosi nella liturgia decrepita degli Spacemen 3 (I Can Find The Way In The Sky, Cactus). cover Lady BananaChi sbava per la roba della Sacred Bones e per lo shitgaze dopato farebbe bene ad avvicinarsi al Trio Banana partendo da In My Life, terzo e ultimo splendido pezzo di questo EP chiamato Arthur Dent come il personaggio uscito dalla penna di Douglas Adams.
Saliamo fino in Svezia dove il duo LADY BANANA scorrazza senza una meta precisa sul terreno del blues-punk in bassa fedeltà, tanto che più di qualcuno li ha accostati agli Oblivians. Per il feeling che hanno con la melodia slacker e per le potenti sgommate di hard feedback, invero ci trovo più similitudini con i coevi Bass Drum Of Death. In tal senso mi pare vada la title track di questo 7” EP su Frantic City Records, Adult Rock, così come la sforbiciata sonica dritto per dritto di Not Much Of A Man. Bel dischetto da apprezzare appieno ad alto volume.
cover The Cavemen VChiudo invitandovi a lasciarvi andare alle danze più sfrenate e selvagge con questo bel singoletto da juke-box dei THE CAVEMEN FIVE su Howlin’ Banana Records. Nel combo garage di Lione c’è gente che ha militato nei Slow Slushy Boys, uno delle neo Sixties band europee più sensuali e divertenti degli anni ’90. E ciò si sente sin dall’attacco di sax nell’originale Be My Cavegirl che, detto senza perifrasi, è un pezzone di garage’n’roll salterino in puro stile Sonics. Il livello non si abbassa nel lato B dove svetta They Prefer Blondes, cover di un vecchio singolo della Sixties garage-band di San Francisco The Banshees, di cui ricordo una versione altrettanto bella dei nostri B-Back.

Pezzo pubblicato su RUMORE #254 di giugno 2013.

Copertine e indiani metropolitani come fosse antani

cover Travel CheckNell’apprestarmi a raccontarvi dei soliti singoletti (di)sgraziati in rigoroso vinile, questo mese sono incappato subito nei TRAVEL CHECK. Oltre al nome di merda che si sono scelti, del 7” Wild Tropics su Howlin’ Banana m’ha preso male anche l’immagine di copertina che sa troppo di indiani metropolitani ai quali ho sempre preferito la creatività greve e il turpiloquio gratuito come fosse antani, insomma. Ciò detto, i tre parigini sono indubbiamente gente in gamba. In Pokayoke paiono la versione roots e giusto un filo morriconiana dei Black Lips mentre in Sunday (In My Mind) virano sul garage vizioso dei Velvet Underground in chiave weird pop: una piccola gemma a cui segue Tripping Waves che farà scendere qualche lacrima a tutti coloro che dei Gun Club hanno amato soprattutto le ballate nostalgiche.
cover Wobbly LampsMi ha suscitato sensazioni opposte la copertina del 7” di debutto su Polyvinyl Craftsmen dei WOBBLY LAMPS, band inglese tutta riverberi, garage fuzz e pop lo-fi saturato come piace a noi perdenti che sulla musica della Grande Bretagna siamo rimasti a Fall, Billy Childish e Country Teasers. Al di là dei nomi appena citati, questi qui ci hanno diverse carte in mano che usano con la perizia dei vecchi croupier delle navi da crociera. L’indolenza ritmica e immediatamente contagiosa (tipo primi Strokes) di Never Ever Bloody Anything Ever, la scure crampsiana di Haxan e le nevrotiche fregole post-punk noise di Gretchen Fetchin lasciano un gran bel segno.
cover Ex ConCon la copertina del 7” degli australiani EX CON su Bon Voyage Records raggiungiamo l’apoteosi del cattivo gusto. In realtà la manica sfrangiata della tipa, il petto nudo e villoso del tizio, I collanoni di entrambi e più di tutto la mano del tipo che stringe i gioielli di famiglia, rappresentano un’altissima sublimazione del trash. I due sono la cantante Joanna Nilson e il chitarrista James Dalgliesh dei più noti (?) Slug Guts con un paio di album su Sacred Bones. Nei 3 pezzi, registrati live su un 4 tracce durante una notte balorda in un bar di Brisbane, sono accompagnati da una sezione ritmica degna dei Bauhaus. I quattro s’imbarcano in un viaggio di fortuna nella psichedelia r’n’r più inquietante, destrutturata e lugubre, a tratti dark (Cuda ’82), dove incontrano di tutto: carogne maleodoranti, demoni ubriachi, ragazze pom pom sfigurate dall’eroina. Ma, incredibilmente, sono loro ad essere schivati. Fantastici.
cover LividsIl lupo a bocca spalancata e canini in bella vista della copertina, rende bene l’idea della musica dei LIVIDS, vecchie (e nuove) glorie del garage-punk-r’n’r americano pronte a sbranarci il cuore. Testa e ugola del quintetto di Brooklyn è nientepopodimeno che il frontman dei New Bomb Turks Eric Davidson, arrembante come ai vecchi tempi in Midnight Stains, unico pezzo del 7” one sided pubblicato dalla nostra Goodbye Boozy. C’è poco da aggiungere se non che chi ama(va) i Turchi non rimarrà deluso. Per la cronaca questo singolo è uno dei quattro 45 giri che Davidson e i suoi hanno deciso di far uscire il 29 marzo, disseminandoli su varie micro etichette, al posto del canonico album.

Pezzo pubblicato su RUMORE #253 di maggio 2013.

KAVIAR SPECIAL

KAVIAR SPECIAL
(Azbin/Howlin’ Banana)

KaviarSpecial_KaviarSpecialA Rennes deve tirare un’aria niente male visto che stanno spuntando come porcini gruppi “garage” maledettamente interessanti. Tra i meglio mangia baguette della Bretagna è da annoverare questo giovane quartetto che cavalca spavaldo l’indie-garage e il post-punk in bassa fedeltà. Tanto meravigliose sono le spaccate melodiche dal passo power-pop di Dating A Slut, Summer e Paradide, quanto stupefacente è l’abbraccio sonico che i quattro stringono attorno al punk deviante di Bored To Death, Poison Cake e Please Don’t Come In. Nel mezzo colano liquami fuzz (Sabadidon), frattaglie surf-punk (Ptit Cul) e bollicine indie docg (#1). The Fresh & Onlys, parafrasando ben più noti colleghi. Un esordio col botto in vinile bianco da sturbo. Portiamoci avanti ché non vale la pena aspettare hipsterismi vari.

L’album omonimo dei Kaviar Special, la cui recensione è stata pubblicata su RUMORE di febbraio 2014, è uno dei dischi d’esordio che mi hanno più colpito nell’ultimo paio d’anni.