In Italia siamo dei conservatori maledettamente irreggimentati anche nella musica, c’è poco da girarci attorno. Ci piace il calduccio del posto fisso, che sia nel Comune di residenza o nella scenetta musicale xyz di stocazzo. Al contrario della Francia, per dire, qui da noi si contano sulle dita di una mano i gruppi che infettano sul serio il garage punk con la psichedelia, il noise e soprattutto con il pop: per quello che queste etichette, così ovviamente generiche, significhino.
Tra i pochi gruppi del cosiddetto weird garage tricolore a fregarsene di apparire troppo mielosi e sbilenchi ci sono i Panda Kid di Alberto Manfrin che assieme a Gianmarco Bergamin ha messo su da un paio d’anni l’interessante Slimer Records. La micro etichetta lo-fi veneta è dedita per lo più alla stampa di colorati flexi disc mono, prodotti in casa uno per uno con vecchie macchine in edizioni limitatissime: “I macchinari sono esattamente quello con cui si registravano i bluesman, o i famigerati X Ray Disc, con i loro pregi e difetti, ovviamente aggiustati e restaurati con molta fatica”, come mi dice lo stesso Alberto che potete vedere sotto all’opera.
In mezzo a tanti dischetti delle fogge e delle dimensioni più disparate, la Slimer ha tirato fuori qualche produzione anche nell’intramontabile formato cassetta come il nastro magnetico (in tutti i sensi) The Holy Tape che cala un gran poker con 4 delle migliori band italiane degli ultimi tempi.
I padroni di casa Panda Kid tirano giù la ballata pop subacquea Cookies Weed, unico pezzo già edito della raccolta che hanno scelto “perché è stata registrata insieme a personaggi del calibro di Astrid (Miss Chain & The Broken Heels), Roger (Il Buio, Gazebo Penguins, Death Index, ecc.), Alberto (Il Buio) e ci piaceva l’idea di coinvolgerli trasversalmente”, è sempre Alberto a parlare.
E ancora i Sultan Bathery con il garage amabilmente ieratico di Lingam, i romani Holiday Inn che qui aggiungono un par di tacche al loro synth punk minimale, sudicio e suicide, infine gli Hallelujah! davvero maestosi nell’insozzare il noise rock con scosse telluriche lente ma di rara potenza.
Niente male la prova solenne e malinconica dei francesi (in parte italiani) J.C. Satan che però, in tutta sincerità, non mi hanno mai fatto strappare i quattro peli che mi ritrovo in testa. Veramente sorprendente, invece, Ray Gos dei Those Foreign Kids a me sconosciuti fino a ieri. Questi tizi olandesi spettinano l’indie rock con scariche garage punk mantenendo un equilibrio assoluto tra melodia e bassa fedeltà sonica, un po’ Jay Reatard e un po’ Cloud Nothings.