Italians do it better?

cover Elli De Mon Di certo non siamo noi italiani quelli che lo facciamo meglio, tuttavia bisogna ammettere che in Veneto lo fanno proprio bene. Fate poco gli spiritosi, sto parlando di rock and roll. E che non si tratti di celodurismo di ritorno ve lo dimostro partendo dal bel 7” autoprodotto della one girl band ELLI DE MON. Evito di dilungarmi perché ne ha già scritto Frazzi, dico solo che il (Delta)blues-punk scarnificato e a tratti paisley imbastito da questa ragazza vicentina già nei Le-Li, sbrana il cuore lentamente ma inesorabilmente. Se Margaret Doll Rod e la sua musica evocano sesso da una botta e via, i tre pezzi chitarra, voce, grancassa e sonagli di questo singolo fanno pensare ad una storia duratura.
cover The DancersBe’, in caso di nozze, eccovi la party band perfetta: THE DANCERS, già dei piccoli eroi da queste parti. Il poker di pezzi del loro nuovo 7” su VIP Records (il mio è di color verdone trasparente) blandisce gli animi dei punk-rocker di ogni età come pochi altri dischetti in circolazione oggi. Più che i Ramones, a cui in molti li accostano, nella title track It’s A Shame il trio di Mestre ricalca la meravigliosa spavalderia melodica di Buzzcocks e Beat. Don’t Be Scared e When I’m Wrong sono due scosse di italico Flower Punk (ricordate i Senzabenza?) da rimanerci secchi. Chiude il rockarolla Watching My Baby Get Ready con quella sua rozzezza candida e mai forzata che mette i brividi. Adesso aspettiamo solo l’album: in vinile, che ve lo dico a fare.
cover Gli SportiviAltro gruppo veneto da seguire con scorte di alcol nello zainetto sono GLI SPORTIVI: coriaceo duo che si muove tra Venezia e Padova, ma se qualcuno mi avesse detto tra Nashville e Memphis ci sarei cascato con tutte le scarpe. In Crazy Love Collection, spettacolare 12” EP in vinile bianco su Flue Records, ampliano il loro spettro sonoro infilandosi nelle pieghe del blues d’antan, ora più roots tipo Mojomatics (Mexicali Baby forte di un bel piano salterino), subito dopo smaccatamente r’n’r come degli Oblivians alticci che suonano ad un addio al celibato (Crazy Hazy Kisses), poi dannatamente crampsiano (Boom Boom) e infine psicotico e hard (I Fell Ok). Gran botta davvero.
cover Gli EbreiPer tirare il fiato cambiamo aria e scendiamo nel centro Italia a conoscere GLI EBREI che nel mini CD Disagiami (Tannen/V4V) infilano 6 pezzi in poco più di 10 minuti. Cosa che depone subito a loro favore, ché almeno hanno il merito di non tirarla tanto per le lunghe. Guasconi come I Fichissimi, strampalati come il primo Bugo, questi giovani nichilisti della provincia marchigiana sono affatto male nella loro totale cazzonaggine. Invero sono piuttosto interessanti quando fanno il verso ad Alberto Camerini in modalità post-hardcore (Scatola nera) e si travestono da Baustelle che hanno fatto le scuole basse e il militare a Cuneo (I miei vicini). Musica per web-ziners disagiati, hipster fagocitati e impiegati deviati.

Questo articoletto è stato pubblicato su RUMORE #255 di luglio/agosto 2013. Ed è l’ultimo di una serie, interamente leggibile navigando su questo sitarello, che durava da qualche anno. Dal numero successivo il giornale è cambiato e le recensioni dei singoli sono tornate ad essere singole, appunto.

La erre “uvulare” del nastro segreto

THE SECRET TAPE
The Secret Tape EP
(Area Pirata/White Zoo)

cover_TheSecretTapeAppuro da Luca Frazzi che i Secret Tape vengono dalle sue parti, da Fornovo Taro in provincia di Parma. E lassù, a parte la erre “uvulare”, hanno dimestichezza anche con la erre di r’n’r. Mi colpisce soprattutto questo passaggio di Luca su Rumore di novembre: “Non tutti imbracciano le chitarre con l’obiettivo di suonare al Primo Maggio in piazza San Giovanni a Roma. C’è anche chi suona perché sa che il rock è nato per spaventare i genitori.
Cos’altro aggiungere?
Ricordo l’album dei Secret Tape di qualche anno fa, mi è rimasta impressa la foto di copertina con questo mano che tira fuori una musicassetta dal taschino della camicia. Ma non li avevo mai ascoltati prima. Recupero oggi, complice la recensione di Luca e l’ottima accoppiata Area Pirata + White Zoo Records che ha prodotto l’omonimo EP 7” di 4 pezzi: le 30 copie con copertina differente sono andate subito esaurite, sono ancora disponibili quelle regolari in vinile bianco e mini CD allegato che contiene due brani in più, e comunque l’EP è scaricabile gratuitamente sulla pagina Bandcamp della band.

TheSecretTape3vinyls

In effetti il dischetto è una piccola bomba. L’attitudine dei Secret Tapes mi fa pensare agli Orwells o, per rimanere in Italia, ai veneti Dancers. Nei loro pezzi c’è della gran freschezza e la giusta proporzione tra melodia albionica e lo sfasciume a stelle e strisce. Non a caso le note stampa citano Ty Segall da una parte e i Libertines dall’altra che mi paiono riferimenti azzeccati (invero più il secondo del primo). Io ci aggiungerei anche gli Hives di cui oggi sembra non si ricordi nessuno: ascoltate I Got You e ditemi.
I pezzi che preferisco sono Blow, una bella ballata roots-rook spruzzata di modernità, e Paul’s Got The Beat, presente solo nel cd allegato, che ha un ritornello davvero “catchy” come dicono gli americani. L’unico appunto che mi sento di muovere è la scelta di mettere in evidenza la voce, anche perché in alcuni passaggi (penso ad Almighty) ricorda troppo quella di Liam “sbruffoncello” Gallagher.
Ciò detto ai ragazzi emiliani bisogna solo fare un plauso perché incarnano molto bene la nuova ondata garage-rock. È gente che bada poco alle mode (o le mischia), che non ha etichetta (o ne ha diverse), che non si prende troppo sul serio e non si fa alcun problema a svicolare nei territori indie-rock e imprimere accelerazioni di punk melodico. Gente a cui frega zero, insomma.

THE FROWNING CLOUDS

DEL MASTICARE E DIGERIRE DISCHI, CHÉ ALLA FINE TUTTO È LEGALE

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I dischi vanno masticati e digeriti bene. Non sempre si ha il tempo o la voglia di farlo e talvolta rimangono sullo stomaco. Come i peperoni. Che ti dici “col cazzo che li rimangerò” e passa del tempo finché non li ri-assaggi e ti maledici per quello che ti sei perso.
Mi è successo con Listen Closelier, primo album degli australiani The Frowning Clouds, bollato troppo presto come derivativo, noiosetto, tipo un compitino calligrafico di chi vuole emulare a tutti i costi i giovani Stones.
Morta lì, insomma, fino a che un bel giorno a Siviglia incontro Nacho della Saturno Records (volendo potere leggere cosa ci siamo detti qui) che si spertica nelle lodi di ‘sti ragazzi di Geelong mettendomi in circolo la curiosità di andare più a fondo, di dare loro un’altra possibilità. Così, una volta rientrato nella mia tranquilla provincia dell’aperitivo col pane e salsiccia spalmata, faccio quello che devo fare. E inizio a ricredermi.
Il carico finale ce lo mette su il mio amico Gabriele della Goodbye Boozy Records che mi fa ascoltare in anteprima Beetle Bird, il nuovo singolo che si accinge a stampare ai ragazzi australiani. Non è un colpo di fulmine, piuttosto un tarlo che si insinua giorno dopo giorno, subdolo e bastardo, fino a farmi capitolare. Il pezzo è uno sballo psichedelico in slow motion che lavora come una valvola di espansione termostatica. Sul lato B lo stesso pezzo remixato in modo allucinato nientemeno che da “Spider” Rhys Webb e Joshua “Von Grimm” Hayward degli inglesi Horrors.

Siamo alla fine del 2013 e so che Beetle Bird farà parte del loro nuovo album, Whereabouts. Faccio mio il vinile e in men che non si dica esco completamente scemo per i cinque annebbiati manipolatori (neo)Sixties.
Legalize Everything è drug-friendly sin dal titolo, ciononostante noi uomini medi possiamo accontentarci anche di una cannetta (o di una genziana) sul balcone dopo aver messo i bimbi al letto. Comunque sia, con o senza THC (con o senza alcol di montagna) in corpo, il viaggio è assicurato sfogliando il loro eccitante bignami di garage, surf, r’n’r, psichedelia e folk-rock. Inutile dilungarsi sulle singole tracce. Mi basta dirvi che in See the Girl apparecchiano la tavola con una tovaglia a fiori tutta ricamata, regalandoci un perfetto esempio di morbidezza dopata beatlesiana che un sacco di gruppi ben più blasonati (Oasis in testa) hanno sempre sognato. L’andamento sbarazzino e la melodia sottopelle dei migliori Kinks in Inner Circle fanno il resto.

Recensione/mea culpa pubblicata il 6 novembre sull’ottimo blog SNIFFIN’ GLUCOSE messo su da critici musicali – non giornalisti, attenzione – che stimo per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare.

Abbracciati a borse congelate

SPIDER BAGS
Frozen Letter
(Merge)

copertina_SpiderBags_FrozenLetterCi sono voluti una decina d’anni trascorsi sui palchi più scalcinati e tre album affinché una grande etichetta indipendente si accorgesse del talento di Dan McGee, l’uomo al comando degli Spider Bags e già alla testa dei D.C. Snipers per chi se li ricorda. È vero anche che ora i tempi sono maturi e tira un’arietta garage niente male in casa Merge. Faccio solo tre nomi: Reigning Sound, King Khan e Mikal Cronin.
Ma arriviamo al punto. Il precedente album degli Spider Bags, Shake My Head, era una bomba. Non aggiungo altro. Questo Frozen Letter è più Johnny Cash che Johnny Thunders, tanto per capirci. Per averne contezza basta far scendere la puntina su Coffin Car e Walking Bubble, due pezzi delicati, da caminetto acceso e plaid a quadrettoni dell’ACI sulle gambe, però oggettivamente troppo lunghi (rispettivamente 6:32 e 5:11).
Da gretto insensibile quale sono preferisco la band di Chapel Hill nel trittico garage-rock d’apertura che è un filo western e un filo paisley underground: Back With You Again in the World, Japanese Vacation la cui chitarra più paisley non si poteva fare, e Chem Trails. Non a caso sono tutti pezzi sotto i 3 minuti. Interessante anche l’acida oscurità bluesy di We Got Problems che lavorando di fantasia mi piace immaginare come una jam sconclusionata tra Jack White, i QOTSA ed Eric Clapton inginocchiati sulla tomba di James Marshall Hendrix.
E comunque facciamo a capirci: dipende sempre da che parte della barricata si sta. Comunque la si pensi, insomma, al di là dei gusti personali, Frozen Letter è un più che discreto disco roots-garage. Gradito e gradevole ospite alla chitarra Mac McCaughan dei Superchunk, nonché boss della Merge. Oltre a John Wesley Coleman dei Golden Boys che presta la sua voce in Summer of ‘79, un gran bel pezzo (dell’Ubalda tutta nuda e tutta calda) che chiude il lato A.

Recensione pubblicata (anche) su BLACK MILK, la meglio webzine r’n’r diy italiana.