FOUR BY ART
Inner Sounds
(Area Pirata/Art Records)
C’ho messo troppo tempo prima di decidermi a scrivere queste righe. E me ne dispiaccio. Perché il ritorno di uno dei gruppi chiave del mod revival tra fine anni ‘70 e primi ‘80 non tradisce le aspettative: al contrario le supera, anzi le travolge. E lo dico stupendomi di me stesso, ché col passare del tempo mi emoziono sempre meno e quasi esclusivamente quando si tratta di esordi traballanti.
C’è poco da fare, Inner Sounds dei Four By Art è un album che non riesco a togliere dal lettore, che ho consumato in senso letterale, ascoltandolo un tot in cuffia al lavoro negli ultimi mesi. Un album centrato sotto il profilo musicale e significativo per tanti aspetti: non fosse altro perché fortemente voluto dal bassista (e cantante) Filippo Boniello, l’unico membro originario della band dopo la scomparsa del chitarrista Elvis Galimberti e del batterista Demetrio Candeloro alla cui memoria è dedicato. Filippo Boniello ha impiegato tre anni a scrivere, registrare, mixare e produrre l’album, che segue di oltre trent’anni l’ultima uscita discografica dei Four By Art, rinverdendo i fasti di quello che una volta veniva chiamato neo-sixties italiano.
Allora mi ricordo, cover dei New Trolls e unico pezzo cantato in italiano, ha un groove micidiale. Una cazzo di bomba Blaxploitation come potevano concepirla degli Inspiral Carpets ai tempi folli di Madchester con Bez degli Happy Mondays strafatto e carico a molla in pista. Altrettanto riuscita la cover di Sorry, pezzo del ’66 degli australiani Easybeats di cui forse è più nota la versione anni ’80 dei losangelini The Three O’Clock. Quei The Three O’Clock di Michael Quercio che una sera, vedendo l’amica Lina Sedillo improvvisare uno spoken word con addosso un bel vestitino rosso a motivi paisley, pronunciò la frase: “Words from the paisley underground”. La stessa frase che ripetè poco dopo in un’intervista rilasciata al LA Weekly parlando della musica del suo gruppo e di band affini come Bangles e Rain Parade, battezzando di fatto un nuovo genere che tutti conosciamo (e apprezziamo).
Tornando a noi, o meglio ai Four By Art, ci tengo a sottolineare solo due cose: 1) il gran lavoro alle chitarre del marchigiano Storteaux che sovente pigia l’acceleratore; 2) la scrittura davvero ispirata che si traduce in un pugno di canzoni illuminate dal soul. Ecco, le canzoni… quelle strane cose sulle quali non si fa più molta attenzione. Inner Sounds ne infila una migliore dell’altra, dalla più garagera (ma comunque gonfia di melodia e falsetto) I Ask You ai carrarmati r’n’r/r&b At Your Door e Home, passando per la screamadelica The Loop, la morbida psichedelia orchestrata di Take Your Time e il grooveosissimo soul lounge di Sea Side Superstar.
Non sto facendo coming out, ché nella musica mi piace da matti ancora la follia come a B****sconi piace da matti quell’altra cosa che inizia sempre per F e termina sempre con A. È che questo disco nobilita l’idea, ahinoi oggi sorpassata, di album. Un album scritto bene e suonato ancora meglio.