Impatto e poesia di strada dell’Aussie Rock a grana grossa

CIVIC Taken By Force (Cooking Vinyl/ATO)

Il secondo album del quintetto di Melbourne è stato prodotto dal vecchio frontman dei Radio Birdman. La butto subito sul tavolo l’informazione di servizio perché, ascoltandolo e riascoltandolo, credo che Taken By Force abbia proprio le stimmate youngeriane. Curioso apprendere che quando si è profilata questa possibilità, per via di amicizie parentali comuni, i ragazzi della band non credevano che Rob Younger accettasse il lavoro. E invece il vecchio Bob pare abbia detto sì all’istante.

Che sia un album di Aussie Rock a grana grossa ce lo dimostra l’attacco killer con End Of The Line: un girotondo di chitarre grosse e soniche, velate di una nervosa malinconia. Ancor più incisivo il micidiale assalto punk di due minuti Fly Song introdotto da feedback ambientale e da una rullatona infinita. Subito dopo, come a frenare la mula, arriva la ballata wah wah pregna di nostalgia Trick Of The Light con una vocalità dura ma controllata che ricorda quella dell’Iggy Pop crooner e del sempre sia lodato Steve Kilbey dopo l’aerosol. Un pezzo nel quale i Civic si imbizzarriscono nel ritornello dando sfogo ai peggiori bassi istinti chitarristici.

A tal proposito, avendo appena tirato dentro i due noti personaggi di cui sopra, non posso che controfirmare le parole di un recensore americano che ha scritto: “Come se The Church e The Stooges si scontrassero in uno strano e glorioso universo alternativo”.

Taken By Force è stato registrato in un posto isolato dal mondo, a Elphinstone, un paesino di appena 500 anime a un centinaio di km da Melbourne. Un disco urgente per chi lo ha realizzato e necessario per noi ascoltatori. Jim McCullough ha una voce stentorea che ti fa sentire la presenza. Per dire, in Neighbor Sadist fa il domatore di leoni tenendo a bada i suoi compagni. Un disco capace anche di dispiegare un bell’arcobaleno di colori e sapori, penso a Blood Rushes che potrebbe essere la loro anima power pop con quelle voci raddoppiate che fanno tanto anthem street punk.

Un disco che mostra in tutto il suo logorato splendore l’impatto e la poesia di strada dell’Aussie Rock a grana grossa.

Space rock, talento e paraculaggine

THE LAZY EYES – Songbook (Autoproduzione)

Estetica giocosa, palloncini colorati, sorrisi impiantati su quattro belle facce pulite. I figliocci dichiarati di Tame Impala e King Gizzard & the Lizard Wizard ammollano lo space rock dentro ettolitri di limonata. Non possono che evaporare, letteralmente evaporare, melodie avvolgenti spesso sostenute da riff ipnotici che mantengono una commestibilità per qualsiasi palato.

Quando si maneggiano ingredienti del genere le bucce di banana sono dietro l’angolo… e, insomma, è un attimo scivolare o far cazzate. Qui tutto è al posto giusto, ben bilanciato, armonico. Dalla sabbia a granelli fini fini di Tangerine, al groove duro ma mai ostico di Fuzz Jam addolcito letalmente per i diabetici da una voce che più carezzevole non si può.

Nei Lazy Eyes talento e paraculaggine vanno a braccetto dal primo all’ultimo pezzo. Lo si percepisce soprattutto quando i ragazzi di Sydney cavalcano le nuvole in modalità ultra pop con leggere armonizzazioni che fanno tanto Beatles per millennials e centennials: penso a Starting Over, Nobody Taught Me e Imaginary Girl.

Al netto di quanto appena sostenuto va detto – e sottolineato con forza – che la psichedelia amica non fa mai male. Inoltre è quantomeno apprezzabile che tutto questo sia autoprodotto su vinile, cd e persino cassetta.

THE FROWNING CLOUDS

DEL MASTICARE E DIGERIRE DISCHI, CHÉ ALLA FINE TUTTO È LEGALE

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I dischi vanno masticati e digeriti bene. Non sempre si ha il tempo o la voglia di farlo e talvolta rimangono sullo stomaco. Come i peperoni. Che ti dici “col cazzo che li rimangerò” e passa del tempo finché non li ri-assaggi e ti maledici per quello che ti sei perso.
Mi è successo con Listen Closelier, primo album degli australiani The Frowning Clouds, bollato troppo presto come derivativo, noiosetto, tipo un compitino calligrafico di chi vuole emulare a tutti i costi i giovani Stones.
Morta lì, insomma, fino a che un bel giorno a Siviglia incontro Nacho della Saturno Records (volendo potere leggere cosa ci siamo detti qui) che si spertica nelle lodi di ‘sti ragazzi di Geelong mettendomi in circolo la curiosità di andare più a fondo, di dare loro un’altra possibilità. Così, una volta rientrato nella mia tranquilla provincia dell’aperitivo col pane e salsiccia spalmata, faccio quello che devo fare. E inizio a ricredermi.
Il carico finale ce lo mette su il mio amico Gabriele della Goodbye Boozy Records che mi fa ascoltare in anteprima Beetle Bird, il nuovo singolo che si accinge a stampare ai ragazzi australiani. Non è un colpo di fulmine, piuttosto un tarlo che si insinua giorno dopo giorno, subdolo e bastardo, fino a farmi capitolare. Il pezzo è uno sballo psichedelico in slow motion che lavora come una valvola di espansione termostatica. Sul lato B lo stesso pezzo remixato in modo allucinato nientemeno che da “Spider” Rhys Webb e Joshua “Von Grimm” Hayward degli inglesi Horrors.

Siamo alla fine del 2013 e so che Beetle Bird farà parte del loro nuovo album, Whereabouts. Faccio mio il vinile e in men che non si dica esco completamente scemo per i cinque annebbiati manipolatori (neo)Sixties.
Legalize Everything è drug-friendly sin dal titolo, ciononostante noi uomini medi possiamo accontentarci anche di una cannetta (o di una genziana) sul balcone dopo aver messo i bimbi al letto. Comunque sia, con o senza THC (con o senza alcol di montagna) in corpo, il viaggio è assicurato sfogliando il loro eccitante bignami di garage, surf, r’n’r, psichedelia e folk-rock. Inutile dilungarsi sulle singole tracce. Mi basta dirvi che in See the Girl apparecchiano la tavola con una tovaglia a fiori tutta ricamata, regalandoci un perfetto esempio di morbidezza dopata beatlesiana che un sacco di gruppi ben più blasonati (Oasis in testa) hanno sempre sognato. L’andamento sbarazzino e la melodia sottopelle dei migliori Kinks in Inner Circle fanno il resto.

Recensione/mea culpa pubblicata il 6 novembre sull’ottimo blog SNIFFIN’ GLUCOSE messo su da critici musicali – non giornalisti, attenzione – che stimo per tutta una serie di motivi che sarebbe troppo lungo elencare.