Sangue di provincia (2018)

AMELIE TRITESSESangue di provincia
Quadro-CD: 150 copie numerate – 75 cornice bianca, 75 cornice nera (A Morte Dischi). Pubblicazione: 15 settembre 2018. Cassetta: 30 copie numerate (Skank Bloc Records). Pubblicazione: 26 febbraio 2019.

AMELIE TRITESSE IN GIRO (2018-2019-2020)

24 agosto 2018, SAN VITO CHIETINO (CH) @MAIA FEST
29 settembre 2018, TERAMO @SOUND
5 ottobre 2018, RECANATI (MC) @CIRCOLO LA SERRA
12 ottobre 2018, SAN SALVO (CH) @BEAT
18 novembre 2018, PESCARA @SCUMM
8 marzo 2019, TERAMO @L’OFFICINA

24 gennaio 2020, PONTE BUGGIANESE (PT) @LA TAVERNA DELLA MUSICA

RECENSIONI

Schegge (sanguinanti) di vita vissuta in provincia. Che è un luogo magnifico, dai contorni sovente indefiniti, ai limiti dei quali tutto si confonde, ed è facile poi smarrirsi. Dov’è che inizia? E dove finisce? Si rischia di scivolare in un limbo dove emergere mica è facile. Non è una novità, il recitato, e non serve compilare liste che attestino parentele illustri. I teramani Amelie Tritesse lo fanno bene, spogliando i contenuti da vesti intellettuali che starebbero strette. Come quelle fotografie sbiadite di vecchie cerimonie, di provincia appunto, coll’abito buono. Il problema è se seguire i testi o la musica? Bisogna ragionarci: tutti e due, fai uno sforzo, devi impegnarti, ma infine vedrai che soddisfazione. Una base di garage/wave/punk (post)/indie guitar pop (così vi sistemo) sbilenco, sfuggente, a tratti così ben congegnato (l’introduzione a “Seymandi” e la coda di “Wojtek” che ci congeda da Sangue di provincia dosano con attenzione pregiati ingredienti indie) che è un giuoco da ragazzi per Manuel Graziani (magnifico narratore) darsi da fare con le parole (il testo della title-track incolla mozziconi estratti da ventinuno recensioni del precedente disco degli AT!). E a tratti, come su “Questa è la città”, farsi beffe di quell’altro Manuel, quello più famoso. Ma ponete attenzione alla chitarra… Se poi scomponete i brani e li riducete a piccoli brandelli sonori, vi potrete individuare chissà quanti riferimenti più o meno colti (“Questa è la città”). Non che vi siano porzioni particolarmente elaborate, non v’è l’impatto frontale, gli AT lo evitano per aggirarvi, per sorprendervi col loro sarcasmo nerissimo. Anche l’inflessione di Graziani contribuisce a rendere ancor più reale e ruvido il costrutto, con tali storie non si può andare per il sottile. Ed i titoli? Capolavori di mordacità, un po’ spicci ma il contesto è quello, i protagonisti sono gente comune per la quale il gesto epico può ridursi ad una bravata idiota. Storie da bar (di provincia ma anche di periferia) raccontate coll’enfasi di chi non conosce altro, se non la cronaca del quotidiano locale, messa giù per sentito dire, di seconda mano insomma. Fari come coni giallastri che fendono la nebbia, odore di muffa, di stantio, sangue di provincia schizzato sul parabrezza. Sarà una lepre… Ma “Son of Italy” e “Cristo tra i muratori” vanno oltre, perché scherzare va bene, ma c’è dell’altro. Chitarra/basso/batteria con qualche svolazzo di synth possono bastare, se messi così, poi ci pensano le parole. E se in certi frangenti ti strappano a forza un sorriso amaro, è perché hanno perfettamente centrato l’obiettivo. Fermarci un attimo ad ascoltare, anche se non è esercizio che si pratica sovente, oggidì. Anzi, c’è chi lo evita accuratamente, troppa fatica. Anche se le aboliranno, le Provincie, rimarranno sempre le loro storie, quelle no, non verranno abolite per Decreto. (SYMPHONYOFSILENCEHADRIANUS, 27 febbraio 2019)

“Sangue di provincia” parla chiaro fin dal titolo: non si vergogna delle proprie radici e non rinnega le proprie origini. Gli Amelie Tritesse, band teramana attiva ormai da più di dieci anni, affondano infatti le proprie fondamenta in quell’ambiente contemporaneamente stimolante e restrittivo che è la provincia, fatto di opposti e contraddizioni, di voglia di evadere e desiderio di restare, di apparente superficialità e ignoranza e sorprendente profondità d’animo. Tutti i brani parlano di vita vissuta, di situazioni quotidiane. Sono racconti a volte surreali, tragici o terribili, o ancora raccapriccianti, cinici e ironici di scene di provincia. I riferimenti sono tanti e diversi gli uni dagli altri: letteratura, musica, folklore, televisione. Lo stile è quello del parlato (di Manuel Graziani), ché racconti come questi forse devono solo essere narrati, sopra a melodie che a chitarra, basso e batteria, affiancano di tanto in tanto i sintetizzatori. Impossibile non pensare ai Massimo Volume o agli Offlaga Disco Pax, con le dovute – e ingombranti – differenze. Ne escono fuori dieci racconti che sono come episodi di vita di provincia: “Le Confessioni”, per esempio, graffia e stride, accompagnando un racconto ambiguo di adolescenza; “Guantoni” usa l’arma dell’ironia e i sintetizzatori; “Uno stratosferico coglione” è serietà e follia, l’incipit “siamo tutti più o meno nullafacenti e senza affetti, né verso gli altri, né verso noi stessi” merita una citazione, ma lo sviluppo della storia crea immagini folli e ironiche. La title-track “Sangue di provincia” è un collage di frasi utilizzate nelle recensioni del primo disco degli Amelie Tritesse; con “Seymandi”, invece, è subito supertelegattone, Sorrisi&Canzoni, per una critica sociale nascosta tra le pieghe dell’ironia e di riferimenti culturali di massa. “Son of Italy” e “Cristo fra i muratori” sono d’ispirazione letteraria e un omaggio agli autori Pascal D’Angelo e Pietro Di Donato. Recuperano ed esaltano gli eroi dell’emigrazione italiana oltreoceano, nonostante tutte le difficoltà, il sudore e la miseria. Il problema di “Sangue di provincia” è che non si tratta di un disco facile. Non aspira ad esserlo e riesce perfettamente nello scopo. Ha bisogno di essere ascoltato e di essere capito e rischia di rimanere troppo ostico per chi quell’ambiente non l’ha mai conosciuto. (Emma Bailetti – ROCKIT, 19 febbraio 2019)

Tra «provincia» e «provinciale» c’è un abisso che pochi riescono a cogliere o anche soltanto a immaginare. Provinciale è non solo la fanatica esaltazione del proprio orticello, un campanilismo esagerato e ridicolo, ma anche il suo contrario, e cioè l’idea che la provincia incarni il male supremo e che là fuori ci sia il paradiso e il nuovo sempre (avete presente «succede solo in Italia»?). È per questo preciso motivo che è possibile scrivere e cantare la provincia senza essere per nulla provinciali; anzi, essendo la negazione assoluta del provincialismo. Non che gli Amelie Tritesse abbiano inventato quest’arte, per carità, è vecchia come la musica popolare a occhio e croce, ma quel che è sicuro è che loro lo fanno dannatamente bene. Un’altra cosa abbastanza certa è che la platea di chi pratica quest’arte è a dir poco ristretta, essendo in tanti troppo impegnati a cercare il paradiso altrove. E invece gli Amelie Tritesse quest’arte l’hanno addirittura affinata e raffinata nel corso degli anni, ampliando la materia prima dei testi – ma dovrei dire dei racconti – e ridefinendo parzialmente il fuoco sui personaggi che li popolano. La musica poi, anche quella – bontà loro e fortuna nostra -, ha sottolineato alcune cose facendosi più interessante. Partendo da qui, dai suoni, ciò che risulta evidente a chiunque passi distrattamente porgendo l’orecchio, è che siamo grosso modo sulle stesse coordinate del gustoso album d’esordio – e cioè quelle di una vivace giostra rock’n’roll che ci ricorda i grandi Gun Club, certe cose dell’alternative rock nostrano (Massimo Volume e Diaframma su tutti), folk ed elettronica variamente assortiti. Una giostra spinta dal cantato-parlato di Manuel Graziani e da preziosi coretti che stanno spesso sullo sfondo ma alle volte si mostrano aggressivi. Rispetto a questo quadro qualcosa a ben vedere si è spostato, anche se di poco. L’elettronica s’è fatta più viva e potente (i synth su Guantoni e Son of Italy sono da brividi), il folk è un po’ arretrato (ma a volte si riprende la scena, come in Uno stratosferico coglione o in Cristo tra i muratori) e il rock lo ha scavalcato di slancio. Il basso è uscito fuori bello potente dal mix, le chitarre tagliano e a volte si sborda poco poco nel noise: l’offesa ai timpani è ben gradita e si gode delle ferite. E poi ci sono i testi – i racconti dicevo -, che hanno una parte importantissima nel fare la bellezza del disco. Testi che oggi, come già allora, disegnano quadretti di potente lirismo provinciale, storie minime di personaggi minimi affidate a una scrittura che sa dar loro uno spessore epico e un sapore acidulo. C’è tanto da ricordare, ci sarebbe tanto da dire. La poesia working class che lascia col fiato sospeso di Cristo tra i muratori e la migrazione oltreoceano che finisce in vacca raccontata su Son of Italy (entrambe di ascendenza letteraria) sono tra le cose migliori. Poi ci sono i cantici dei cantici della provincia sperduta: le serate noiose e tutte uguali che per forza di cose devono diventare epiche e memorabili (Guantoni), o la piccola città «delle calate per il corso / del vino rosso / dell’eroina all’ingrosso», celebrata e sbeffeggiata in egual misura da Questa è la città. O ancora, c’è il bel testo di Sangue di provincia, assemblato facendo cut-up con le recensioni del disco precedente (c’è anche la mia e non so, faccio davvero fatica a immaginare qualcosa di più bello dell’aver partecipato in qualche modo alla scrittura di questo testo); c’è la voglia di giocare con le parole e con le rime, come nel mercato all’ingrosso di rime baciate (e non) contenuto nel gioiellino Seymandi. C’è questo e tanto altro dentro “Sangue di provincia”, ma è un piacere scoprirlo scavando e non vorrei togliervi il badile dalle mani: potreste iniziare, credo io, con il video di Sangue di provincia, procedendo poi all’ingollo del disco intero in un’unica soluzione. Se ne uscirete felici, come credo sempre io, potrete acquistarlo qui. (Leonardo Annulli Paris – LOUD NOTES D.C., 1 febbraio 2019)

Il legame con la provincia, con la sua provincia, quella della città di Teramo, è sempre stato un tratto distintivo della scrittura di Manuel Graziani, ed è sempre andato in abbinamento con la sua smania di conoscitore e appassionato di musiche rock. Questo legame e questa smania è stata impressa su carta ma anche in formato discografico: è il caso quest’ultimo di Amelie Tritesse, la cui formula read’n’rock risponde a quello che è un tratto distintivo della tradizione indie italiana, soprattutto se confrontato con i canoni stilistici e le rimembranze evocate da Massimo Volume e Offlaga Disco Pax. La band abruzzese si affida a una base musicale che vagamente definiremmo post-punk, fatta di distorsioni e interferenze, di beats e fraseggi sintetici ma anche di jazz mood più confidenziali e rilassati, non necessariamente accomodanti. Tutto comunque gioca in funzione della lettura, anche se poi il racconto breve trova uno sfogo in uno stacco, in un’apertura caratterizzata da un refrain (spesso cantato in inglese) o da una coda strumentale. Più che di audio libro, “Sangue di provincia” si presenta nella forma di audio-quadro (l’invito è ad avere a che fare direttamente con la suggestiva confezione fisica del’album) che fotografa una situazione particolare e la fa sposare con un sentimento universale. Così, tra fenomeni da bar(accone), storie locali d’emigrazione e le fisse per i gruppi rock con un ballerino in line-up, mi sovviene quel detto che, parafrasando, recita: la provincia è quel luogo da cui non vedi l’ora di scappare via ma anche quel posto in cui non puoi fare a meno di ritornare. (Fabio Polvani – BLOW UP, novembre 2018)

IL READ’N’ROCK DEGLI AMELIE TRITESSE
Amelie Tritesse è un progetto italiano fatto di parole e suoni, voci e strumenti, storie e canzoni: una sorta di mix di read’n’rocking, intriso di alt rock, garage, post punk e indie folk. E tutto accade mentre le parole pronunciate incontrano le canzoni e l’Italia incontra l’Inghilterra.”
Sangue di Provincia uscito nel Settembre 2018 e prodotto dagli Amelie Tritesse, gruppo di read’n’rock di Teramo, è album di lucida denuncia attraverso una grottesca e semi allegra presa di coscienza decameroniana sul degrado dello scibile umano: “Parole che diventano storie. Suoni che diventano canzoni. Strumenti elettrici e aggeggi sintetici. Per il secondo album il gruppo di Teramo sfodera 10 pezzi che hanno il sapore acre della provincia. Un read’n’rock dalla tripla A. Come le pile mini-stilo, l’annuncio su un giornale, la trinità medievale, l’aneurisma dell’aorta addominale: acerbo, abrasivo, amorevole. I pezzi Son of Italy e Cristo fra i muratori sono liberamente dai romanzi Son of Italy (1924) di Pascal D’Angelo e Christ in Concrete (1939) di Pietro Di Donato. Singolare la storia della title track il cui testo è stato costruito smontando e riattaccando le parole utilizzate da 21 giornalisti nelle recensioni del precedente album del gruppo, Cazzo ne sapete voi del rock and roll.”
Dal tema triste e quasi sarcastico de Le Confessioni si assiste ad una serie di dinamiche e di relazioni che si rivelano pian piano realistiche storie umane, fatte di brandelli di esistenza ai margini della provincia, in tutte il testo scandito narra e si appoggia su arrangiamenti davvero ben articolati. La città e le sue contraddizioni sociali esplorate senza tralasciare alcun dettaglio suggeriscono il ritmo di vita di una nazione intera, dove spiccano per contrasto un lucente orgoglio e l’appartenenza alla propria terra, fatta di sofferenza resistenza che propriamente si traducono in forza. Cenni di nostalgia noia e sfilacciamenti emotivi, la promiscuità dei rapporti mercenari, l’assunzione di stupefacenti conditi di orrore incredulità, qui lo smarrimento del vivere è paradossalmente narrato vivacemente, con grande energia, perché ardendo possa colpire e venir colpito ed estinto, chissà. (Monica Quadraroli – RADIO AKTIV, 4 ottobre 2018)

Manuel Graziani, mente della band abruzzese (in circolazione da ormai 10 anni), scrive liriche visionarie, taglienti e particolari, sperimentando, incollando (vedi ad esempio nel brano che titola l’albumin cui ha utilizzato le parole scritte da 21 giornalisti nelle recensioni del precedente album “Cazzo ne sapete voi del rock and roll”), sparigliando. E le declama su basi che spaziano tra new wave e alt rock, con le chitarre in evidenza e una ritmica precisa e potente. Il riferimento principale è quello della “scuola” Massimo Volume / CSI / Offlaga Disco Pax ma con un’anima personale e distintiva. Ottimo. (Antonio Bacciocchi – RADIOCOOP, 17 settembre 2018)

AMELIE TRITESSE, PAROLE IN MUSICA DALLA PROVINCIA (DI TERAMO)
“E poco male se le aboliranno le Province. Ne rimarranno il mantello opaco e vischioso, la nervosa elettricità sottopelle, le etichette fallaci. Piccole dosi di efferato e lucido cinismo, l’artigianato e certa capacità di osservazione”. No, quello che leggete qui su non è un estratto da un improbabile discorso di un governante del cambiamento contento della lotta agli sprechi e della soppressione di enti inutili. È, invece, il punto di svolta, la conclusione e l’inizio, il filo che tiene uniti i due dischi del gruppo musicale teramano Amelie Tritesse, un nome un programma, che rappresenta la trascrizione dalla lingua d’oltralpe della pronuncia dialettale abruzzese di “me li triterei”. Le poche righe di cui sopra sono allora l’estratto della title track del secondo disco autoprodotto dalla band e pubblicato il 15 settembre, Sangue di provincia. Il pezzo, scritto come tutti gli altri da Manuel Graziani – giornalista musicale di “Rumore” e curatore, tra le altre cose, della raccolta Andare in cascetta – ha una storia del tutto particolare, perché l’eclettico Graziani lo ha stilato con la tecnica del cut-up, prendendo in prestito dai propri autori, degli estratti delle recensioni ricevute al primo lavoro della band, Cazzo ne sapete voi del rock and roll (del 2011). La canzone Sangue di provincia è così il manifesto d’intenti di tutto il disco, che alterna storie visionarie ambientate in improbabili bar che diventano location per combattimenti clandestini tra nani, città del mo’ ci ving, mo’ c’arving, mo’ te li ding ‘mbacce a’ li dint, passeggiate tra signore imbellettate sotto i portici per andare a mangiare le paste al caffè del corso la domenica mattina e matrimoni in cui il Montepulciano d’Abruzzo scorre a fiumi, la porchetta è più calorica che mai ma il padre dello sposo non ama per niente il post punk. Quel post punk “ondeggiante che ha il sapore acre della provincia” e che accompagna tutto il disco, comprese le due canzoni più care a questo blog: Son of Italy e Cristo tra i muratori, ispirate ai rispettivi libri, e alla loro crudele storia, dei due emigranti abruzzesi Pascal D’Angelo e Pietro Di Donato. Sangue di provincia, il disco, è così un lavoro che affonda le radici nel nostro vissuto e nella nostra storia, facendola a pezzi e brandelli e ricomponendola con toppe di stoffa da sarto in un mondo illuminato da fari abbaglianti nella notte, che mi fa ripensare tanto ai miei amati Offlaga Disco Pax o, meglio ancora, ai Massimo Volume, ma con quel tocco di originalità e quel pizzico di arrabbiatura in più che solo le nostre strade dissestate sanno regalare. (Gianluca Salustri – QUALCHE RIGA D’ABRUZZO, 19 settembre 2018)

Attivi da una decina di anni, con Manuel Graziani, giornalista di Rumore a tirare le fila, la band abruzzese ti spiazza al primo ascolto… se conoscete gli Offlaga Disco Pax mi avete già capito, ma anche Massimo Volume e roba simile… a me questo disco piace, più che altro mi piace il loro modo di voler parlare alla platea, c’è bisogno di parlare ma più che altro bisogno di ascoltare… non solo le note ma anche le storie. Le storie di Amelie sono forti, ganze come si direbbe a Firenze, fra calcio come in Guantoni passando per Uno Stratosferico Coglione, fantastica! Immagini e storie minimali e minime, SeymandiCristo fra i MuratoriWojtek e così via… il disco scivola bene, autoironico, semplice e diretto, intellettuale ma accessibile a tutti. Convincenti! (Stefano Ballini – SB COMUNICAZIONE, 26 settembre 2018)

Read’n’rock definiscono, gli Amelie Tritesse (che col nome non omaggiano bellezze diafane da film francese, ma giocano col dialetto teramano – a voi il piacere di scoprire il significato), il proprio genere. E con questo terzo lavoro in sette anni si dimostrano fedeli alla propria identità di narratori con vocazione rock/punk/post punk. Tappeti sonori evocativi e una voce che recita tessere rubate a mosaici di vita: storie di combattimenti illegali fra nani, turismo sessuale andato a male, città-paese; un ritratto del tipico indiesnobgiornalistatuttologo; un acquerello della provincia che ci possiede anche se scappiamo; storie di emigrazione di tanto tempo fa, che non cambiano mai… a qualcuno verranno in mente i Massimo Volume, ma questi sono proprio gli Amelie Tritesse. Bene così. (Andrea Valentini – RUMORE, ottobre 2018)

Futurista – 7.
(Il Giudice Talebano – NERDS ATTACK, 1 ottobre 2018)

Dopo il fortunato esordio del 2011 – l’ironico e sovversivo Cazzo ne sapete voi del rock and roll, pubblicato per Interno4/NdA – da qualche settimana è in circolazione il nuovo lavoro degli Amelie Tritesse, band teramana attiva da una decina di anni che deve il suo nome non tanto alla romantica e sognatrice Poulain comparsa sugli schermi cinematografici nel lontano 2001, bensì alla trascrizione francesizzata della pronuncia dialettale abruzzese di “me li triterei”. Sangue di provincia è il titolo del loro secondo lavoro sulla lunga distanza e come il precedente sfodera dieci pezzi di puro post punk Acerbo, Abrasivo, Amorevole; un energico read’n’rock dalla tripla A che si inserisce a pieno titolo nel solco tracciato a suo tempo dai Massimo Volume e proseguito poi dagli Offlaga Disco Pax. Più sarcastici dei primi, meno ideologici dei secondi, i testi narrati in italiano (con alcuni inserti in lingua inglese) risultano leggeri ma mai superficiali, velati da un’amarezza di fondo che lascia disarmati, come nello splendido brano finale. Senza perdere il gusto di riderci sopra, raccontano di personaggi e città di provincia a misura di tutto e di niente; nello specifico, Teramo, la città della domenica con le pastarelle, delle virtù e delle mazzarelle, la città del mo’ ci ving, mo’ c’arving, mo’ te li ding ‘mbacce a’ li dint… che pure i cinesi, c’è da capirli, si trovano spiazzati. Piccole storie di grande umanità – sconclusionate ma intense come un’epifania, che sanno di luppolo e marijuana – sorrette da un sound malleabile che alterna momenti lievi ad altri più spigolosamente rock, atmosfere sintetiche ad intimità folk, chitarre distorte a tastiere dilatate.
Tra i brani da segnalare, Son of Italy e Cristo fra i muratori sono liberamente ispirati dai romanzi “Son of Italy” (1924) di Pascal D’Angelo e “Christ in Concrete” (1939) di Pietro Di Donato, due muratori/scrittori di origini abruzzesi, mentre Sangue di provincia che dà il titolo all’album è frutto di un originale cut‐up delle parole utilizzate da 21 giornalisti (tra i quali anche chi scrive) nelle recensioni del precedente album del gruppo.
Scritto, suonato e prodotto dagli stessi Amelie Tritesse – vale a dire Manuel Graziani, autore dei testi, voce narrante, basso e batteria; Paolo Marini, voce cantante, chitarra, tastiera e basso; Stefano Di Gregorio, batteria e basso; Cristiano Pizzuti, basso e tastiera, new entry del gruppo – e registrato, missato e masterizzato da Sergio Pomante al Noiselab Studio di Giulianova (TE), Sangue di provincia scorre e suona sincero come raramente capita di ascoltare, offrendosi senza chiedere niente in cambio, come un dono. Se poi voleste apprezzarne anche il calore ascoltandolo dal vivo, potreste trovarvi venerdì 12 ottobre al Beat Café di San Salvo (CH) oppure domenica 18 novembre allo Scumm di Pescara. E questa, più che una notizia, è un consiglio da amico.
(Ivan Masciovecchio – TESORI D’ABRUZZO, 10 ottobre 2018)

Con “Cazzo ne sapete voi del Rock and Roll” gli Amelie Tritesse esordivano a Teramo nel 2011, dopo una lunga parentesi di affiatamento musicale e creativo. Si trattava di un progetto… nato nella provincia della provincia, fatto di parole e suoni, voci e strumenti, letture e canzoni, Abruzzo e cassette. “Una sorta di ciclico gioco di sottrazione che si posa sulle canzoni sgualcite di Paolo Marini, i suoni elettronici di Giustino di Gregorio e il battere sensibile di Stefano Di Gregorio, per poi entrare in tackle scivolato sulle caviglie delle storie di Manuel Graziani”.
Così si presentava nel retro CD il gruppo musicale teramano in una maniera singolare, davvero genuina e consapevolmente fuori dagli schemi. Amelie Tritesse è tornato a metà settembre di quest’anno sulla scena musicale con il secondo album “Sangue di provincia” incontrando il favore della critica e collezionando recensioni di tutto rispetto. A catturare l’attenzione dei fan e della critica ci ha pensato Manuel Graziani (voce narrante, basso e batteria) rimaneggiando le parole espresse nelle varie testate da 21 giornalisti che avevano accompagnato l’uscita del precedente album sopra menzionato. Lasciando l’ultima parola ai colleghi molto più esperti di me in materia rilevo, però, con piacere che da Teramo gli Amelie Tritesse continuano a raccontare tracce di energico Read’N’Rock di provincia con un video che gira su You Tube fra musica e parole… minuzie, sguardi e gesti quotidiani… immagini in chiaroscuro in una Teramo insolita, decisamente accattivante, condita di pregi e contrasti, crudamente espressiva di quella dimensione sanguigna provinciale che da oltre un decennio ispira lo stile degli Amelie Tritesse. Un’interessante scommessa che vale la pena di approfondire. (Marcello Maranella – ALTRE NOTE, 18 ottobre 2018)

DALLA PROVINCIA ITALIANA GRANDE MUSICA
Spesso la provincia, anziché le grandi metropoli, cela tra le sue pieghe anguste ma volitive realtà musicali che sanno sorprendere l’ascoltatore e stimolarne l’attenzione. La ridente Teramo terra delle mie adorate Wide Hips 69, ma non solo loro, è una di queste ed è da lì che provengono questi Amelie Tritesse giunti al loro secondo album con la voglia e l’urgenza di dire un sacco di cose e di dirle con la giusta carica ed attitudine.
Certo la loro formula con il cantato in forma parlata e declamatoria su basi spesso di elettronica “povera” ed ossessiva non può che rimandare l’attenzione a band quali Massimo Volume o Offlaga Disco Pax ma attenzione perché tra i solchi di Sangue di provincia si nasconde qualcosa di più, o di diverso, rispetto alle due ingombranti realtà succitate.
Innanzitutto rispetto ai primi si nota un’ironia ed una (presunta) leggerezza che li differenzia dall’eccessiva vena seriosa e filosofica del gruppo bolognese, mentre nei confronti dei secondi è assolutamente assente la foga – sia pur “leggera” – ideologica qui sostituita da storie semplici ma al tempo stesso cariche di un visionario senso di drammaticità intrinseco.
Facciamo dei piccoli esempi nell’iniziale Le Confessioni ci sono certamente i Massimo Volume ma suonati con l’estro dei Devo mentre nella seguente Guantoni io ci trovo lo spirito drammatico e iconoclasta dei Suicide, se vi va datemi pure del pazzo. Proseguendo si ascoltano l’arpeggio iniziale che si trasforma in un pezzo nel quale il formato canzone è maggiormente rispettato di Questa è la città, le improvvise e repentine accelerazioni di Sangue di provincia, l’inizio space che mi ha ricordato i secondi Man or Astro-Man? di Seymandi, l’apparente languidezza di Cristo tra i muratori per chiudere con la lunga ed ipnotica Wojtek.
Un disco questo degli Amelie Tritesse certo non di facilissima ed immediata fruibilità ma ricco di particolari affascinanti ed inaspettati che molte volte appaiono dopo una serie di ascolti. Un ultimo appunto prima di concludere, peccato che i gloriosi biancorossi del Teramo calcio non siano giunti per uno strascico dovuta ad una combine al’agognata meta della serie b; ricordo ancora l’invasione di Savona quando la compagine abruzzese conquistò la promozione giocando contro gli odiati biancoblù, ci ha pure giocato mio figlio ma li odio lo stesso, una tale passione meritava ben altra soddisfazione, che la gloria sia solo rimandata.
Viva la provincia italiana sia musicalmente che musicalmente.  (Il Santo – IN YOUR EYES, 19 ottobre 2018)

INTERVISTE / RADIO / WEB/ VIDEO

– 20 settembre 2018, intervista di Pierluigi Lucadei su Il Mascalzone che potete leggere qui
– 29 settembre 2018, presentazione album su Radio ARA, Lussemburgo, che potete ascoltare qui
– 30 settembre 2018, presentazione album su Radiocoop TV che potete vedere qui
– 23 ottobre 2018, presentazione album su Diskobox di RadioSverso che potete ascoltare qui
– 31 ottobre 2018, presentazione album su Rock City Nights di Radio Città Benevento
– 23 gennaio 2019, intervista e presentazione album su Fresh Start di RadiostART
– 5 dicembre 2019, intervista di Luca Franceschini su Off Topic che potete leggere qui