Quella stella blu che fa cucù

ALEX LOGGIA
Bluestar
(Area Pirata)

Non mi sono mai piaciuti gli Style Council. Mike Talbot c’aveva la faccia del salumiere sotto casa e Paul Weller lo vedevo come un traditore imborghesitosi male. Per anni ho schifato la copia in vinile gatefold di Our Favourite Shop che un bel giorno trovai in mezzo alla mia collezione, comprata da mio fratello chissà dove e chissà perché. La stessa copia, praticamente nuova, che in questa tiepida giornata di fine estate sta girando sul mio piatto mentre fumo e scrivo. E non mi sta dispiacendo.

Ecco. Bluestar mi fa pensare agli Style Council, ma con più chitarre e i Sixties tatuati dietro la schiena. Sto parlando di un album che scalda e rinfresca allo stesso tempo. Un album definitivo (per l’autore), il tipico album dove ti lasci andare e metti in fila le passioni di una vita, tutti i tasselli di una carriera, bussando ai generi musicali che ti hanno fatto battere il cuore fin da ragazzo.

La immagino così la genesi del debutto solista dello storico chitarrista degli Statuto, produttore e molto altro. Alex Loggia infila quattordici pezzi di pop soul, beat, funk, rock blues, r&b e rocksteady il cui comun denominatore è l’eleganza, in fase di composizione e di arrangiamento.

A vestire le canzoni assieme a lui una banda di sarti dalle mani esperte: il pard mod Oskar Giammarimaro, Madaski degli Africa Unite, il sommo Tony Face, Andy Macfarlane di Hormonauts e Rock’n’Roll Kamikaze, diversa gente che ha cucito musiche con Bluebeaters, gli stessi Statuto, Four by Art, Blind Alley, ma anche con Finardi e De Gregori.

L’unico difetto di Bluestar è quello di esser tardivo: poteva e doveva uscire prima. Un vinile da tenere con cura, magari a fianco di quelli degli Style Council che ora non schifo più. Perché, per quanto si possa resistere, sta scivolando via la gioventù.