Se da tempo immemore sei un accanito fan di un artista con cui non hai mai scambiato più di due parole; se te lo aspetti come te lo sei sempre immaginato ascoltando i suoi dischi; se, insomma, riponi in lui una pur giustificata aspettativa… be’, è molto probabile che ne rimarrai deluso! L’artista a lungo idealizzato è una persona come le altre, a volte addirittura al di sotto della media. Questo è il motivo per cui dal 1988 (quando vidi i Diaframma dal vivo per la prima volta) ad oggi non mi sono mai intrattenuto con Federico Fiumani dopo un concerto: sostanzialmente per evitare una delusione. Ma il 17 giugno scorso non ho potuto esimermi. Fiumani è stato ospite del Festival letterario Lib[e]ri di Teramo ed il sottoscritto aveva il compito di introdurre il suo reading/concerto “Confidenziale” e di animare una breve discussione sul suo recente libro Dov’eri tu nel ’77? (Coniglio Editore, pp. 95, euro 10,00). Non riesco a descrivere la grandezza e l’umiltà di uno dei principali pionieri della new wave italiana dei primi ’80, è meglio utilizzare le sue parole: “… sono sempre stata una persona molto sola, avevo qualche amico che amava la new wave e quindi l’ho amata anch’io. Per me la musica è stato un modo per uscire dalla solitudine, per comunicare, per accorgermi che le cose che provavo io, il mondo che avevo dentro, potevano anche interessare a qualcun altro: un modo di sentire molto sottile, ma molto forte… in questo senso la musica mi ha cambiato la vita, fino a diventare probabilmente la mia ragione di vita, la new wave in particolare… sono orgoglioso di aver fatto la mia parte e mi fa piacere che quello che abbiamo fatto 20 anni fa ancora viene ricordato… una grande soddisfazione che all’epoca mai mi sarei aspettato, anche perché a quei tempi eravamo stigmatizzati dalle generazioni precedenti che dicevano che il rock non poteva essere fatto in italiano, che non sapevamo suonare (cosa vera peraltro), ma chiunque aveva delle idee e un mondo interiore poteva suonare… la new wave è stata tutte queste cose: molti amici, molti affetti, molte ragazze, non moltissimi soldi ma va bene così.” L’agile libro del leader dei Diaframma ha una struttura inusuale, schizofrenica, che vive nell’alternanza di poesia pura e scossoni punk, aneddoti personali e pensieri sparsi, prosa tagliente e struggente autobiografia. E la sua genesi non poteva che essere tormentata. “Una mattina mi sono svegliato più depresso del solito e dopo molte tribolazioni mi è venuto un istinto pazzesco di scrivere, come una sorta di scrittura automatica, mi abitava un demone che mi costringeva a scrivere… dopo qualche giorno ripresi l’infinità di cose che avevo scritto e selezionai quelle che mi sembravano più riuscite, che sono poi la prima parte del libro: poesie vere e proprie. Poi con l’editore abbiamo deciso di includere spunti autobiografici, racconti, riflessioni sulla musica e inevitabilmente anche sulla musica del ’77 che per me è stata la scintilla che mi ha fatto capire che potevo provare a suonare in un gruppo… quindi abbiamo messo tutto insieme, una sorta di miscellanea, ed è venuto fuori questo libretto da parte mia assolutamente onesto e sincero.” Che sia un libro sincero non ci sono dubbi. D’altronde Fiumani è sempre andato dritto per la sua strada, fregandosene altamente di compiacere il pubblico, la stampa musicale e il cosiddetto mondo del rock dove, “… più si fa schifo più si è bravi. Più si scandalizza e meglio si è.” Fiumani è “un piccolo cinghiale che rovista fra i rifiuti”, impossibile ammaestrarlo, uno che va a caccia di dischi che non vogliono insegnargli niente, sprezzante verso i gruppi punk di adesso che sono “tutti atleti mancati pieni di forza e di energia ma senza talento.” Uno che ama solo chi fugge, affascinato da “la decadenza, il declino, i trucchi per rimanere a galla, i compromessi con le cose e con la vita (di un artista)” e non dalle luci della ribalta che si accendono e si spengono attraverso i subdoli giochetti del music biz. Fiumani è un poeta e un punk, entrambe le cose nell’accezione più nobile. O meglio, Fiumani è Il Poeta del Punk: l’unico rimasto in Italia. “Adesso il punk è cambiato, è più un punk’n’roll, più una cosa fatta per divertirsi… ciò che mi attirava del punk del ’77 invece era proprio la malattia, l’emarginazione, la diversità che emergevano dai solchi e dalle immagini… i punk avevano l’aspetto di gente maledetta, malata e a me piacevano moltissimo anche perché all’epoca ero appassionato della poesia simbolista francese: Rimbaud, Baudelaire, Mallarmé, Verlaine… i punk rappresentavano la versione in musica di questi poeti maledetti e mi piacevano molto anche esteticamente … la musica di adesso mi piace meno ma è anche un fatto generazionale, nel senso che a 17 anni (quanti ne avevo io nel ’77) sei una sorta di carta assorbente… più passano gli anni è meno sei disposto ad entusiasmarti di fronte al nuovo perché non ti sembra poi tanto nuovo.”
Questo pezzo è stato pubblicato sul bimestrale musicale Sonic #2 di agosto-settembre 2006, all’interno della rubrica “carta vetrata” da me malamente curata.