MANUEL GRAZIANI
La mia banda suona il (punk)rock
Coniglio Editore, pp. 64, € 5,00
Anno di pubblicazione 2007
Va da sé che, se proprio t’interessa, ti consiglio di acquistare il romanzetto dal tuo libraio di fiducia ma, al limite, puoi prenderlo anche su www.coniglioeditore.it, www.internetbookshop.it, www.hoepli.it, www.unilibro.it, www.libreriauniversitaria.it, www.ilpianetalibro.it, www.ndanet.it, www.gullivertown.com, www.bol.it, www.libraccio.it, ecc.
Dalla quarta di copertina
Quello che esce fuori dalle casse dell’autoradio sparata a tutta, è una miscela esplosiva di sconquassato garage punk che mi esplode nel cervello per poi scendermi a rotta di collo giù per tutto il corpo. Penso a quei coglioni vestiti da checche che si calano pallette in discoteca e si stordiscono a suon di martellante unz-unz-unz, agli invasati neo folkers che si sciolgono al cospetto di qualunque brufoloso imbracci una chitarra acustica e agli intellettualoidi che sbroccano di brutto quando un coglioncello qualsiasi li piglia per culo amplificando lo sciacquone del cesso.
«Ma che cazzo ne sapete voi del rock and roll!», mi viene da dire tra me e me.
Un qualunque sabato sera in una qualunque provincia italiana. Un tipo è piantato al bancone di un pub e sta iniziando a stonarsi di birra in attesa che i suoi amici si facciano vivi. Ma proprio in quegli istanti appare una visione inaspettata. Quando si è annebbiati dall’alcol non si colgono i particolari, le sfumature. La nottata prende una piega tutta sua, trascinata dal ritmo legnoso del punk. C’è un po’ di sesso, un po’ di droga e una montagna di rock and roll. E poi ci sono gli amici. Quelli che sanno darti una pacca sulla spalla nei momenti giusti. Quelli che riescono sempre a far finta che non sia successo niente.
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LA MIA BANDA IN TOUR (2007-2008)
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– 14 giugno 2007, TERAMO, giardini della Provincia @Festival Letterario Lib[e]ri. Gente di qua, opere di là con Maximiliano “Strelnik” Bianchi, Maurizio Di Fazio, Vincenzo D’Aquino, Paolo Ferri e l’attore Arnaldo Guido.
– 23 giugno 2007, PESCARA, Area ex Cofa @Indie Rocket Festival. Con Leonardo della Libreria Primo Moroni e l’attore Arnaldo Guido.
– 4 agosto 2007, TERAMO, Villa Comunale @La Villa Suite. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 4 ottobre 2007, ROMA, Rialto Sant’Ambrogio @Scatole Sonore, ore 21:00. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 5 ottobre 2007, ROMA, C.ne Casilina 44 @Radiation Records, ore 18:30. Presentazione libro e schegge di reading AmelieTritessico con Paolo “Iver” Marini.
– 25 novembre 2007, FAENZA (RA), Casa di Booklet @MEI, ore 20:00. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 19 gennaio 2008, AVELLINO @GA.Rage Records, ore 22:00. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 7 marzo 2008, TERAMO, Sala espositiva Nicola Palma @Indipendentemente Artisti ore 19:30. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 14 marzo 2008, PESCARA @Wake Up, ore 22:15. Reading musicaletterario degli AmelieTritesse di spalla ai DIAFRAMMA.
– 5 aprile 2008, BOLOGNA, @Arteria ore 19:00. Presentazione de “La mia banda suona il (punk)rock” + reading musicaletterario degli AmelieTritesse… senza stress!
– 26 aprile 2008, GIULIANOVA (TE), @Il Nome della Rosa, ore 21:30. Presentazione de “La mia banda suona il (punk)rock” + reading musicaletterario degli AmelieTritesse.
– 30 aprile 2008, PESCARA, @Ecoteca, ore 22:00. Presentazione de “La mia banda suona il (punk)rock” + read’rock’ing fantattuale degli AmelieTritesse, assieme a The Ultra Twist.
– 31 maggio 2008, FIDENZA (PR), @Libreria La Vecchia Talpa, ore 18:00. Presentazione de “La mia banda suona il (punk)rock“… quattro chiacchiere con Luca Frazzi.
– 5 luglio 2008, L’AQUILA, @Festa Democratica, ore 21:30. Read’rock’ing fantattuale degli AmelieTritesse + presentazione de “La mia banda suona il (punk)rock“.
– 18 ottobre 2008, ROSETO DEGLI ABRUZZI (TE), @Vola Vola Festival – Residence Marechiaro, ore 22:00. Read’rock’ing fantattuale papale papale degli AmelieTritesse.
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INTERVISTE RADIO E WEB
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– QUI potete leggere l’intervista che mi ha fatto Simone Gambacorta su La mia banda suona il (punk)rock. (www.AbruzzoCultura.it, 20 settembre 2007)
– 22 luglio 2007, dalle 10:00 alle 13:00, Radio Studio 5 FM
– 29 settembre 2007, dalle 13:00 alle 14:00, Radio Città Futura
– QUI potete leggere lo scambio di battute con Paolo Roversi su La mia banda suona il (punk)rock. (WhiteSide, 31 ottobre 2007)
– 29 novembre 2007, dalle 16:30 alle 17:30, Radio Facoltà di Frequenza (la Radio dell’Università di Siena) ospite de “La Cantina del Rock” sul cui sito potete scaricare l’emmepitre della puntata.
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RECENSIONI
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Una giornata particolare? No, una serata particolare. Per essere precisi, un weekend particolare. Questo è quello che racconta Manuel Graziani nel romanzo “La mia banda suona il (punk)rock”. Protagonista ed io-narrante della storia è un non meglio identificato personaggio, più o meno trentenne, più o meno (in)felice, più o meno annoiato. È un precario che fa parte «dell’esercito silente dei lavoratori a contratto» e che vive in casa con mamma e papà, in una città che somiglia molto a Teramo. Ama la musica e le chiacchiere con gli amici, soprattutto il sabato sera, quando può scorazzare tra il «Pub di Pino» e i locali della costa per bere, fumare e provarci con le donne. È un fanciullone di provincia, un futuro uomo medio (del resto usa una lingua media), un po’ goffo e impacciato, a tratti fantozziano, che sbarca il lunario e galleggia in una quotidianità ripetitiva, sospesa tra età adulta e vapori tardo-adolescenziali. Nonostante tutto è un tipo ironico e indirettamente auto-ironico: Graziani si diverte a dargli voce, ci gioca, lo spupazza, lo prende in giro, spesso gli fa fare la figura del fessacchiotto. Questo lo rende umano e credibile: è facile sentirlo vicino ed è facilissimo sorridere per quel suo modo di scivolare sulla realtà. Che Graziani fosse bravo a scrivere lo si sapeva, ma “La mia banda suona il (punk)rock” ha alcune pagine da applauso: si leggano quelle sul pranzo domenicale in famiglia o quelle con lo scambio di battute tra il fanciullone e il suo amico Ferdi. Questo romanzo vuol fotografare la porzione di un’esperienza colta nel suo farsi, in alcune accelerazioni e latenze del suo farsi. Graziani l’ha scritto come se gonfiasse un palloncino: ha dato forma a quel vuoto/pieno che è la vita di chi sta in anticamera, in attesa che succeda qualcosa, che si apra una porta o almeno una finestra. Su dove, poi, si vedrà. (Simone Gambacorta, LA CITTÀ MENSILE, luglio 2007)
La mia banda suona il (punk)rock – l’aggressivo romanzo del teramano Manuel Graziani, è ora sugli scaffali delle librerie
Il romanzo di Manuel Graziani è come un b-side punk di un disco rock. “Il sabato sera che non c’è niente di organizzato, spilucco qualcosa a casa e poi vado al pub di Pino in attesa che gli altri si facciano vivi. Ormai ho pure il mio sgabello che è quello di fronte alla spinatrice, per la precisione tra la spinatrice e la cassa”. E poi il sabato notte prende forma, per forza, come tutti i sabato notte. È la filosofia – ma è davvero esagerato chiamarla così – dei trentenni del 2007, quella che Graziani racconta nel suo breve romanzo “La mia banda suona il (punk)rock”, appunto, appena uscito per la Coniglio editore nella giovane collana dei Lemming. Una filosofia, che in realtà è più un modo di essere vivi, alla costante ricerca del migliore (e perciò peggiore) modo per devastarsi, tra droghe e alcol, come un rigurgito postumo della cultura della beat generation ma senza l’originalità e il coraggio della controtendenza e della controcultura. Anzi, Graziani riesce, nel racconto di un solo fine settimana, a svelare l’immagine di una generazione che consuma i suoi misfatti nella massa ma al riparo da occhi indiscreti, riesce a sfatare il “mito” della “persona perbene ed onesto lavoratore”: professionisti fatti di canne e cocaina, locali pieni zeppi di gente che è lì solo per sbronzarsi fino a vomitare, puttane. E l’autore non si tira fuori da questa massa, ma la penetra e l’accompagna, raccontando le sensazioni del suo corpo sul protagonista: un corpo limitato, primitivo, fatto di bocca, stomaco e genitali. Come dire? Bere, mangiare, vomitare e scopare. Tutto però è immerso nella musica, costante, continua. Il lettore ascolta il racconto come fosse urlato all’orecchio in una discoteca oppure con il tipico ronzio sordo post-concerto nelle orecchie, quello che ovatta tutto e che intontisce un po’. Un racconto condotto con un linguaggio assolutamente essenziale: pochi pensieri, pochi dialoghi, frasi brevi e molto spazio alle espressioni dello “slang” cittadino. Sessanta pagine da leggere in un pomeriggio, magari sotto l’ombrellone, che faranno venire una irresistibile voglia di ascoltare un buon disco garage punk. (Lisa De Leonardis, ABRUZZO OGGI, 19 luglio 2007)
ROCK AND ROLL
Un sabato sera come tanti. Tranquillo, sonnacchioso; pure troppo. Almeno fino a quando un’avventura troppo bella per essere vera si trasforma in qualcosa di inaspettato. Questo lo scenario che dipinge il breve romanzo di Manuel Graziani, penna nota a chi segue il giornalismo musicale italiano, specie nel suo versante più rock’n’roll. E di r’n’r qui ce ne è tanto: nei discorsi degli amici, nelle autoradio, nei juke-box; da solo o con l’immancabile corollario alcol, droga e una spruzzata di sesso. Pur ammiccando ai lettori in maniera un po’ troppo aperta in un paio di passaggi, Graziani descrive con efficacia la noia della provincia, le chiacchiere vuote, i pomeriggi passati a gironzolare senza meta e le notti selvagge che tali sono solo sulla carta, ma anche la passione travolgente per la musica più sanguigna ed esplosiva che ci sia, efficace antidoto contro una piattezza che può diventare insopportabile. (Aurelio Pasini, IL MUCCHIO SELVAGGIO, settembre 2007)
Ci metterete pochissimo a leggere questo libretto smilzo di Manuel Graziani, collega giornalista musicale innamorato di garage, punk e rock’n’roll. Insomma, tutta roba che si consuma nel giro di qualche minuto, meglio ancora se su vinile gracchiante e su un vecchio giradischi. L’intento di Manuel era semplicemente quello di scrivere un romanzetto punk rock, una storia di ordinaria follia che ben si adatta a qualunque provincia di questa povera Italia, dove ci si ammazza di birra, canne, droghe e, ovviamente, con del sano rock’n’roll. Piace l’idea che, in fondo, tutto quello che si respira nel libro sia perfettamente convenzionale, senza picchi, che la noia permei tutto come nebbia, proprio come ci è capitato così tante volte nella vita. Qualche volta lo slang “gggiovane” sortisce un effetto boomerang e va a discapito della scorrevolezza della lettura (nel senso che ci si incazza un po’, per dirla punk…), ma sono sottigliezze e, forse, problemi di chi scrive questa recensione. Insomma, per 5 euri, potete anche farlo vostro. (Stefano Gilardino, ROCKSOUND, settembre 2007)
La musica di Orazio Grillo, detto Brando, mi è sempre piaciuta: dai Boppin’ Kids fino alle cose da solista. Circa un anno fa, per esempio, ho trovato il suo primo album da cantautore “Santi e Peccatori” – l’unico che mi mancava – e me lo sono bellamente portato a casa senza pensarci due volte. Per questo l’ho citato ne “La mia banda suona il (punk)rock”. Con un pizzico di sorpresa ho appena appurato che ha letto il mio libretto e lo ha persino apprezzato. Ecco cosa ha scritto sul suo blog.
Da tempo leggevo recensioni entusiaste su questo romanzo, devo ammettere che per curiosità passato da Feltrinelli mi sono catapultato all’acquisto… e via!!! In treno verso Bologna, comincio a leggere e vi garantisco che si legge tutto di un fiato… è ben scritto, ben congegnato… scorre come una canzone dei Clash energica, pura, cattiva…divertente… Voglio ringraziare personalmente da questo Blog Manuel Graziani per avermi citato così nel suo romanzo, sono lusingato… inutile negare che trovarsi dentro un romanzo e per di più di questo tipo, fa sempre il suo effetto!!! Così chi ha curiosità… scappi a comprarlo… leggerete di me con un paragone che avrà fatto arrabbiare qualcuno e che a me ha fatto letteralmente godere!!! (BRANDO BLOG, 12 settembre 2007)
Alla segnalazione sul numero settembrino di RAGAZZA MODERNA, rivista di cui – ahimè – non avevo mai nemeno sentito parlare, se ne aggiunge un’altra che mi rende felice soprattutto per i nomi ai quali sono stato in una qualche maniera accostato. Eccola:
Raccontare la musica
Per chi è in simbiosi con l’iPod. O strimpella la chitarra. O ha un fidanzato aspirante rockettaro. Insomma per le Cosmogirls che vivono di note, ecco qualche lettura a tema. Non mi ami ancora di Jonathan Lethem (Il Saggiatore, € 15) narra le alterne vicende di un gruppo musicale sulle strade di Los Angeles. In La mia banda suona il (punk)rock di Manuel Graziani (Coniglio, € 5), lo scenario è invece quello della provincia italiana (che, però, guarda oltre confine). Lo stesso dei personaggi di Despero, romanzo a base di Emilia & rock’n’roll di Gianluca Morozzi, uscito nel 2001 e riproposto ora da Guanda (€ 10). (COSMOPOLITAN, novembre 2007)
Manuel Graziani scrive di musica e libri per Rumore, Sonic, Mente Locale. Ma da un po’ di tempo scrive anche libri: dopo la lontana raccolta di racconti “I due pusher” (1997) e la biografia di “Giuseppe Caporale. Un veterinario al servizio dell’uomo” (2005), arriva ora questo agile romanzo, sessantuno paginette in cui si dipanano le vicende di un sabato sera e una domenica mattina qualunque in una qualunque cittadina della profonda provincia italiana. Anche il protagonista è uno qualunque: senza nome, Co.co.co. in un ente pubblico, trentaduenne, costretto a vivere ancora con papà e mammà e a girare su un Ciao azzurro del 75, causa stipendio non esattamente faraonico, al sabato sera si sfonda di birre al pub almeno per un paio d’orette, aspettando gli amici, visto “che non c’è niente di organizzato”. Uno come tanti, insomma, se non fosse per la sua insana passione per il garage-punk, genere non proprio alla moda, e quindi in grado di salvare la vita a chi affonda nella vita stagnante di provincia, perché in grado di fornire due giustificazioni esistenziali: il possesso di un gusto che eleva rispetto alla media dei compaesani, magari guadagnandosene l’incomprensione e/o lo scherno, conferme della giustezza della propria scelta; l’opposizione alla deriva modaiola che ingloba il mondo intero, metropoli e centro comprese. È ovvio che le cose non stanno proprio così. Anzi, per niente. Ma questo è sicuramente quello che scatta nell’inconscio di chi è condannato a vivere nella “provincia di una vita / che dovrà pur finire”, come cantava Claudio Lolli nel 1975. E d’altronde, era a questo che si riferiva Lester Bangs quando parlava lucidamente della provincia come di un “serbatoio della purezza rock’n’roll”. Fatto sta che, tra schivare ex-compagni di scuola davvero troppo normaloidi, riunirsi alla propria microcompagnia, l’incontro con il parvenu tampinatore di turno, alla fine, tra una canna e una striscia di coca, la Vita irrompe nel quieto tran tran di provincia. E irrompe male, non come ce la si aspettava, tanto da rischiare di ribaltare le sicurezze ataviche di un vitellone per caso, in realtà per nulla tale, ma talmente impreparato alla vita reale da scambiare l’attrazione sessuale per un innamoramento vero e proprio e da voler costringere i comportamenti degli altri in qualche cliché politically correct. Ma il giorno dopo, tutto si ricompone, riassorbito nel ventre molle e dolce della solite cose: la mamma che annuncia la sveglia, il pranzo coi genitori, altrettanto incapaci di cogliere alcunché nei figli, un giro al bar per le confidenze con gli amici. Illuminante il lungo dialogo su “chi è Jimmy?”, vero compendio di cultura rock da quiz di Mike anni 70. Apparentemente pesante e fuori luogo, serve invece a far rientrare il protagonista nella tranquilla vita di tutti i giorni. Non tutto è perfetto, in “La mia banda suona il (punk)rock”: dialoghi e pensieri sono a volte un po’ didascalici, ad esempio, e poco naturali. Ma che la stoffa ci sia, è confermato dall’impianto del racconto e da certi squarci notevoli: tanto per dire, i ricordi dei giochi d’infanzia in questa cittadina un po’ Teramo, un po’ L’Aquila, un po’ Pescara (i riferimenti topografici sono mischiati, ma tutti abruzzesi come l’autore), e le tre righe finali, semplicemente raggelanti nella loro bellezza. (Renzo Stefanel, EXTRA! MUSIC MAGAZINE, 5 novembre 2007)
Veloce, ruvido, sintetico, minimale come un brano punk, strofa, ritornello, strofa e conclusione deragliante. Èquesto, in sintesi, il breve, godibilissimo, arrembante, romanzo/racconto di Manuel Graziani. Una sera, una notte, in cui confluiscono, a dosi massicce, sesso, droga e rock n roll. Come in un brano dei Ramones o dei Dead Boys. E in mezzo valanghe di preziose citazioni per chi da secoli è ammalato di musica in ogni suo aspetto (e più è oscura e meglio è). Consigliatissimo! Come un brano dei Ramones. (Tony Face, RADIOCOOP, novembre 2007)
Il mondo del precariato nel volume di Manuel Graziani
Il mondo del precariato, la flessibilità protratta oltre i trent’anni, con le sue incertezze, i suoi riti generazionali, le sue abitudini, costituiscono il repertorio tematico, l’archivio di situazioni, moventi, caratteri, a cui fa riferimento una produzione narrativa fluida, defilata rispetto ai circuiti dell’industria editoriale, sommersa. Questo taglio prospettico concorre a dare senso a universi minimalisti, frammentari, spesso ridotti a una sola dimensione (onirico-notturna) e percorsi da brividi di violenza e inquietudine. Il romanzetto di Manuel Graziani «La mia banda suona il (punk)rock» (Coniglio Editore, 61 pagine, 5 euro) rimanda allo scenario della provincia, nei pub dove la notte si mescolano vodka e birra alle chiacchiere con gli amici, e poi in macchina, tra alcolici e spinelli, fino alla spiaggia, in riva al mare, per finire la serata come capita. Manuel Graziani è nato a Teramo nel 1972. Il protagonista del suo breve romanzo è un trentenne alle prese con una bionda trasgressiva incontrata per caso, un’avventura che finisce male e che gli fa prendere coscienza, però, del bilancio deludente di una interminabile adolescenza. Graziani scarnifica il racconto fino al limite di una trascrizione neutra del parlato giovanile. Al grado zero della lingua corrisponde una rappresentazione analogamente povera e ripetitiva, che si enfatizza nella replica di parole e gesti quotidiani. La madre che ogni mattina entra in camera per «alzare la serranda e spalancare a giorno la finestra» ripete un rituale malignamente iterativo: «Alle elementari era così, alle medie era così, alle superiori era così. Pure ora che ho passato i trenta, pure ora che ho uno pseudo lavoro… perdura questo stramaledetto vizio materno». In questa esistenza costretta per inedia a ripetersi, per mancanza di stimoli esterni, in questa vita depotenziata, vissuta al minimo e in sordina, l’unico slancio è dato dalla musica punk, che il gruppo di amici ascolta ancora su supporti in vinile o in audiocassetta spingendo al massimo volume il vecchio stereo della macchina. Questo anacronismo (il vinile al posto del digitale) è però la spia di una rimozione che si riflette nella cristallizzazione del tempo vissuto. Quando Ferdi, il confidente inseparabile, mette un pezzo dei Gun Club, il protagonista sul momento non li riconosce, anche se la canzone «gli è molto familiare». Poi ricorda: «Avevo sedici anni e i Gun Club rappresentavano per me molto più di un gruppo musicale. Per diverso tempo quei dischi rimasero nella top ten dei miei ascolti. Quel disco lo avevo comprato nel millenovecentonovanta, sono sicuro dell’anno per via dei Mondiali…» (Ugo Perolino, IL CENTRO, 28 dicembre 2007)
Un sabato rock’n’roll
Una corsa sgangherata attraverso un sabato sera + domenica di provincia. Una di quelle faccende che tutti abbiamo vissuto e – probabilmente – continuiamo a vivere, perpetuando il rituale nel corso dei decenni. A volte replicandolo anche in giorni infrasettimanali. Un sabato sera, dicevamo, ma non di quelli in disco. Roba un po’ più low-fi, da rocker di provincia (che si tratti di quella abruzzese, piemontese o marchigiana poca differenza fa; anzi, nessuna), che inizia con birre al bancone di un pub in cui lavora un tuo conoscente. E poi ci sono gli amici, le macchine scassate in cui ci si ammassa, la via crucis per locali, le vomitate, le cassette nell’autoradio, quella sensazione di spremere un filo di mitologia dall’ennesimo cazzo di sabato in cui forse era meglio stare a casa. E ancora: il lavoro precario, l’amico che tutto sa e tutto dice di rock’n’roll, le citazioni di album (”Miami” ha un posto speciale: e ci mancherebbe altro…), il quadretto famigliare della domenica a pranzo. E una cosa che accade, destabilizza il nostro protagonista e lo fa stare male. Forse anche troppo, perché, a ben vedere, è forse l’unica vera scheggia di mito rock’n’roll nella sua esistenza, almeno in quel momento. Insomma, Manuel ha sfornato un librettino (circa 60 pagine) godibilissimo, che si lege in un’ora o poco più e ti lascia pensieroso al termine. Perché in certi passaggi sembra parli di te, ma sicuramente parlava di se stesso. O dei suoi amici. O dei tuoi. Chiaro no? Una storia in cui ci si identifica piuttosto facilmente, che pesca nel vissuto di chi ha frequentato e respirato il rock, il punk e tutto ciò che ci sta intorno, in Italia. Poi, all’improvviso, a pagina 61 tutto evapora con una dissolvenza sulle mani dell’amico di turno che guida l’auto, in una domenica pomeriggio sonnacchiosa. Un finale che sfugge, che non chiude e che ci lascia lì a chiederci perché non ci viene raccontato cosa accade dopo. Il problema è che il nostro voyerismo è fuori luogo. Probabilmente il lunedì mattina seguente il protagonista sarà andato al suo lavoro precario, avrà bestemmiato per otto ore e si sarà trascinato fino al sabato successivo. Per rivivere una fotocopia della serata che ci è stata raccontata. Come facciamo tutti. (Andrea Valentini, BLACK MILK MAGAZINE, 17 febbraio 2008)
La mia banda suona il (punk) rock: O del punk di provincia
«Che amaro vuoi?» mi dice Ferdi a bassa voce.
«Un Gran Sasso».
Chi vive in una grande città non può capire quanto un paesone amplifichi i desideri, più di un qualsiasi paio di casse: sei giovane, la tua testa va lontano, il cuore batte forte, ma i confini sono ristretti e allora la musica (rieccola, sempre lei) arriva a farti sognare nuove possibilità. E non è un caso che, più la musica risulta “sovversiva”, più lo slancio per la fuga è potente. Nel piccolo libro di Manuel Graziani si parla di punk e, ringraziando la mano dell’autore o chi per lei, non si tratta dell’ennesimo tentativo generazionale di stupire; La mia banda suona il (punk) rock è, invece, un affresco di provincia filtrato attraverso l’estetica musicale, non importa se condita dalla cresta o dai giri di basso. Ognuno, d’altronde, ha il suo bagaglio di ricordi alla Nuovo Cinema Paradiso, gli amici da annuario, le donne da desiderare, i gruppi da idolatrare, un mito da emulare, un “esempio” da non voler mai diventare: nel romanzo di Graziani c’è tutto questo, ma si nasconde tra le righe di una storia semplice che è, poi, la storia di chiunque abbia vissuto quella linea d’ombra ormai sempre più marcata tra i venti e i trent’anni. (Martina Montauti, LETTERA.COM, 11 marzo 2008)
La febbre del sabato sera tra sesso, droga e rock’n’roll
Una collana di agili volumetti che si chiama «Lemming»: un’idea di Coniglio Editore che qui dà voce a Manuel Graziani, bravo giornalista (collaborazioni con Mood, Sonic, Rumore e Mente Locale e il blog www.manwell.it), appassionato ed esperto di punk e garage rock. In questo caso si dedica alla narrativa pura, il racconto di un sabato sera di sballo e del risveglio la mattina seguente. Una serata che corre lungo le note di un’autoradio a cassette, tra fiumi di alcool, qualche grammo di droga e un po’ di sesso, consumato in fretta, di quello che lascia l’amaro in bocca. E poi gli amici, che ti sono a fianco sempre. Una lettura piacevole, uno stile spiccio e avvincente, con molti ami lanciati agli appassionati di musica, numerose citazioni e digressioni a tema. (Guido Siliotto, IL TIRRENO, 20 aprile 2008)
La cronaca di un qualunque sabato sera in una qualunque delle nostre città. Intere serate passate ad aspettare che accada qualcosa, restando piantati al bancone di un pub, ordinando una birra dietro l’altra in attesa che la svolta si faccia viva. Alle volte la nebbia concessa da quel bancone sembra voglia finalmente regalarci il giusto compenso dopo una settimana di fatica. Ma la nebbia copre le sfumature, l’alcol non concede spazio ai particolari, e la notte inizia a suonare dura e legnosa come un disco punk. Quello che esce fuori dalle casse è una miscela esplosiva di garage punk rotto ed imbecille, che esplode nel cervello per scendere giù in tutto il corpo. Sesso, droga e rock’n’roll sono in pratica il titolo di questo tema, ma accanto a loro troviamo gli amici, vera roccaforte di sicurezza, capaci di attutire il più violento degli impatti. Sono stati creati e messi lì per riuscire sempre a far finta che non sia successo niente. Si tratta di un esordio letterario per chi cammina a testa bassa, per chi parla poco o nulla, per chi si aggrappa con le unghie alla vita quando il vento soffia forte e porta tutto via. Un esordio nato senza la camicia, perché in questi tempi non potrebbe neanche permettersela. La meraviglia di una vita normale, una vita senza false code di pavone, la vita di chi non vuole nulla da mettere in mostra, vista con i nostri occhi ed accompagnata come colonna sonora dai nostri dischi, se non addirittura dalle nostre musicassette, lente e cariche di fruscio e ricordi. La trama e l’intreccio sono semplici e chiari come si compete a chi è abituato a parlare di dischi: ci si limita a descrivere quello che c’è. La narrazione alle volte è goffa ed impacciata, vengono usati paragoni e descrizioni che virano verso la banalità (che poi è anche la semplicità del linguaggio della provincia, vera protagonista del libro) un po’ perché il libro deve scorrere veloce, ed un po’ perché agli esordienti tutto ciò è concesso. Sicuramente va reso il giusto merito alla Coniglio Editore, impegnata coraggiosamente nella pubblicazione di opere prime scritte da esordienti totali. La casa editrice romana è riuscita, grazie alla collana “i lemming” (di cui fa parte anche il romanzo di cui parliamo), a proporre sul mercato oltre cinquanta brevi opere scritte da altrettanti giovani penne, confezionate con cura ed attenzione e proposte ad un prezzo a dir poco competitivo. Proprio come i Lemming, noti per le migrazioni che compiono quando si accresce la loro prolificità in modo anormale: nessun ostacolo si oppone alla loro marcia. Solo una schiera esigua sopravvive al termine della migrazione. (Ennio Ciotta, IL PAESE NUOVO, 9 settembre 2008)
Una notte brava da tragicommedia – sex and drugs and rock n’roll tra i vitelloni
Trent’anni o poco più, passati tra birre, cocktail, musica a tutto volume e serate a rimorchiare. Amici, complici un po’ selvaggi, i protagonisti di La mia banda suona il (punk)rock – titolo divertente con citazione – toccano il cielo con un dito e, un minuto dopo, il fondo del barile, con la stessa velocità della meteora in picchiata. Il sesso, o quantomeno la voglia di buttarcisi a capofitto, guida all’incoscienza tre mosche da bar, frastornate dalla noia della provincia e intenzionate principalmente a godersi quello che offre il convento, in termini di alcol, di donne, di piccole rivincite quotidiane. Una serata in spiaggia passa dall’idillio del trionfo al dramma della beffa, con tutte le seghe mentali del caso su quanto sia dura restare in piedi mentre la nave è avvolta dlla tempesta. Manuel Graziani scrive di musica su varie testate di settore; si vede. Debutta nel romanzo con stile chiaro, prosa concisa, dichiarando la propria ammirazione per la “sporcizia” narrativa di Bukowski. Il suo romanzo breve, o racconto lungo che dir si voglia, affonda le radici nello spirito rock n’roll e lo dilata al vitellonismo italiano, allo spleen esistenziale dei venti/trentenni annoiati da tutto e da tutti, a caccia di stimoli e avventure. Di blues, per dirla con i gospel. La formica non si trasforma mai in gigante. E’ allo stesso tempo pregio e difetto per una storia sì estremamente semplice ma anche diretta come un riff suonato in 4/4. Graziani lavora di cesello sui personaggi e li plasma a propria immagine: tanto è più grottesco il contorno tanto meglio ingrana la partitura. Se fosse un disco La mia banda suona il (punk)rock apparterrebbe al genere garage, dove scorrono sudore e alcol a litri ma dove la confezione – a partire dalla cover fumettosa e dal formato accattivante, merito di Coniglio Editore e della sua preziosa collana Lemming – è in grado di attrarre chiunque. (Matteo Di Giulio, IL RE-CENSORE, 24 settembre 2008)