Visti i tempi mi pare d’uopo travestirmi da Babbo Natale e venire a farvi visita con un bel sacco pieno di vinile. La scorsa puntata della rubrica che state leggendo era infatti farcita di troppi cd, insensati dischetti che stanno uccidendo il rock and roll: mia colpa, mia grandissima colpa! Inizio a redimermi presentandovi l’album eponimo di POSSESSED BY PAUL JAMES, ovvero Konrad Wert, trentenne chansonnier nativo della Florida dotato della rara capacità di coniugare sacro e profano. Sermoni blues (Konrad è figlio di un predicatore), country scomposto, bluegrass zompettante, folk del profondo sud si rincorrono nella testa di questo white trash man posseduto dal fuoco del r’n’r. I 13 pezzi dell’album hanno un suono aspro, minimale, crudo, disarmante, genuino. Roba buona prodotta semplicemente dalle corde vocali di questo pazzo sciolto che si accompagna con chitarra, banjo e violino. Pensate ad una versione acustica di Tom Waits, John Lee Hooker, Robert Johnson e non sarete molto lontani dall’essenza di questo disco (Shake Your Ass).
Dai solchi del 7”EP Small Town Rockers dei lucchesi NOT RIGHT fuoriesce invece high rock and roll di chiara matrice 70’s punk. Un po’ c’è da lavorarci sopra (si tratta pur sempre di un esordio!), tuttavia i “latrati” delle due cantanti donano ai 4 pezzi un non so che di ipnotico: una sorta di blues metallico e garage ipervitaminico, mischiati alla puzza dei copertoni bruciati nei desolati sobborghi industriali di Detroit, come l’incandescente Livin’ A Lie. Al solito è da rimarcare l’ottimo lavoro di Area Pirata. Copertina e posterino interno in quadricromia, artwork da sballo e vinile bello pesante con buco grande in mezzo.
Forma e sostanza si sposano a meraviglia anche nel
Rimanendo nella metropoli del Quebec c’è da dire che la storia del garage-punk di Montreal degli ultimi 10 anni, dagli Spaceshits in poi, è stata scritta in gran parte da King Khan e BBQ. E anche se oramai bazzicano più in Europa che in Canada, i due fratelli di sangue rimangono ancora fari abbaglianti di una scena che non è mai stata prolifica come ora. La premiata ditta THE KING KHAN & BBQ SHOW prosegue con What’s For A Dinner? (In The Red Records) la sua folle corsa all’indietro verso le radici del rock and roll. Incespica, si rialza e ricomincia a correre a pieni polmoni nel goliardico clima nonsense che li circonda da sempre. Tanto per capirci, l’incredibile two men band apre questo secondo album con un pezzo trash d’antan intitolato Treat Me Like A Dog, a seguire piazza lo struggente numero soul I’ll Never Belong per poi lanciarsi nella frizzante doppietta garage-punk Zombies e Dock It #8. Ma non si fermano qui. I due passano con nonchalance dalla scheggia hardcore Learn My Language alle ballate strappalacrime Why Don’t You Lie? e Into The Snow che manco i Platters, dal lo-fi punk compresso di Operation alla title track che sembra né più né meno che una parodia di un duetto tra Eddie Cochran e Gene Vincent. Ditemi se questa non è classe!
JAY REATARD è un altro di quei tipacci che bazzicano i bassifondi del rock and roll non allineato da anni, mostrando una classe cristallina ed un ego alquanto spiccato. Malgrado la giovane età (più di 25, meno di 30) il ragazzaccio di Memphis ha dato vita e suonato in una marea di gruppi importanti: Reatards e Lost Sounds su tutti, ma anche Bad Times, CC Riders, Final Solutions e il supergruppo New Memphis Legs. Appare pertanto ovvio che prima o poi decidesse di fare un album solista, mettendoci la faccia e tutto il resto (la copertina lo ritrae con addosso i soli slip, imbrattato di sangue dalla testa ai piedi). Non è altrettanto ovvio che sarebbe venuto fuori un disco della madonna, licenziato dalla sempre-sia-lodata In The Red. In Blood Visions c’è tutta la cifra stilistica (che brutte parole, giuro che non le userò più!) del nostro che gioca a rimpiattino con le sonorità che gli sono più congeniali. Obliquo rock and roll punk saturo di chitarre fumanti (It’s So Easy, Death Is Forming, Not A Substitute,) che sprofonda nelle derive wave postmoderne (My Shadow, Oh It’s Such A Shame). Niente di nuovo in tutto ciò. Quello che colpisce è la sua capacità di confezionare pezzi adorabilmente paraculi, con tanto di ritornelli strizzacervello, da songwriter di razza (Nightmares, Fading All Away, Turning Blue). Giacché ci siamo, se apprezzate Jay Reatard non fatevi scappare il suo ennesimo side project, ANGRY ANGLES, in cui è spalleggiato da quella discreta topina di Alix Brown dei ripoffiani Lids. Vi consiglio caldamente di iniziare dal primo
Ora che è in edicola il numero 5 di Sonic Magazine, eccovi la mia rubrichetta “into the garage” apparsa sul numero 4, datato dicembre 2006-gennaio 2007.