Ci sono cose che mi piacciono ma che non seguo, chissà perché. Una di queste è la pallacanestro. Sport che ho praticato da ragazzino per poi mollarlo in favore della più gaia pallavolo. Eppure per anni ho goduto bazzicando i campetti di periferia, i playground come direbbero quelli che parlano alla moda. Per tutto il periodo universitario ho frequentato a Bologna il campetto sotto il ponte di Via Libia a San Donato: per dirne una, ero lì a far a sportellate sotto i ferri il pomeriggio che Biagio Antonacci girò il pessimo video di una sua pessima canzone. Tornato a Teramo ho frequentato per un po’ il campetto dell’Acquaviva dove mi è stato affibbiato il soprannome “Il Guerriero” – immagino per prendermi per il culo – ché, seppur scarso, davo tutto fino allo sfinimento.
Non ho mai avuto modelli nella vita, figuriamoci nello sport. Ma se proprio devo fare dei nomi di giocatori a cui sono legato non avrei dubbi: John Stokton con la sua intelligenza sopraffina e quei pantaloncini corti da maratoneta, Shawn Kemp con la sua ignoranza altrettanto sopraffina e la meravigliosa canotta dei Seattle SuperSonics.
Tutta ‘sta pappardella per arrivare alla recente vittoria dello scudetto dell’Olimpia Milano, squadra e città che, per inciso, non amo. Soprattutto “non accetto” dal punto di vista estetico. Sono nato con squadre che sulla canotta avevano impressi marchi di cucine ed elettrodomestici (Snaidero, Scavolini, Ignis, Berloni) e vederci sopra Emporio Armani mi procura formicolio alle mani.
A parte le cazzate… sono felice e pure un pochino fiero che una (buona) parte della vittoria dell’Olimpia porti la firma della mia città. Anzi due firme. Quella dell’assistente allenatore Massimo Cancellieri e quella del preparatore atletico Giustino Danesi: due teramani purosangue e, cosa più importante, due punk… oddio, proprio punk no ma appassionati e grandi cultori di rock alternativo sì.