CRONACHE DEL (MIO) JUKE-BOX #3

DA OGGETTO A SOGGETTO, IL JUKE-BOX NEI DISCHI

Se avete letto le puntate precedenti sapete che sto in fissa per i juke-box. Quando ne vedo uno mi si rizzano i peli delle braccia. Nei nostri luoghi, nei nostri laghi mi è successo nel vecchio negozio di dischi Rockin’ Bones di Parma, al Garage di Avellino e di recente al gagliardo Tamla di Cesena dove fa bella mostra un Wurlitzer 3500 Zodiac del 1971 pieno di dischetti niente male. A vedere (e ascoltare) la musica dentro i juke-box ci siamo abituati, a guardare il juke-box come elemento dotato di contenuti propri un po’ meno. Eppure, per la sua forte valenza iconica, da oggetto è diventato presto soggetto, simbolo, valore. Nessun’altra macchina di riproduzione musicale ha avuto un impatto così forte sull’immaginario collettivo, finendo letteralmente dentro i supporti fonografici.

Negli anni ’50 e ’60 non si contano le copertine di dischi che lo raffigurano. Dalla compilation Tops In Pops dove una ragazzo e una ragazza cingono un AMI F120 del 1954, all’album Teenage Hop di Warren Covington and The Commanders che lascia intravedere un Seeburg HF100R sempre del 1954. Un altro gran bel Seeburg, il 222 Channel del 1959, è piazzato sulla cover di We Are The Chantels della suddetta girl band mentre in New Juke Box Hits del 1961 un compunto Chuck Berry squadra il contenuto di un Rock-Ola 1455S del 1956. Nell’edizione tedesca del singolo Pretty Woman di Roy Orbison ci sono due belle donzelle e un tipo poggiati su un Seeburg AY160 del 1961. Addirittura sulla copertina dell’album per bambini Tammy’s Sing-A-Long Party, pubblicato negli USA nel 1965, è raffigurata una bambolina tipo Barbie intenta ad inserire un disco su un piccolo juke-box giocattolo. Nel decennio successivo mi vengono in mente le edizioni francese e tedesca del 7” Jump In My Car del sottovalutato Chris Spedding a cui fa da sfondo un cangiante Wurlitzer 2300 del 1959.

Tra la fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 il juke-box ha imboccato a tutta velocità la china discendente. In preda alla disperazione l’industria ha tentato senza successo una riconversione producendo quegli orribili affari che sono i juke-box a cd. A mia memoria sono poche le copertine dei dischi che raffigurano juke-box nel decennio dell’edonismo e delle pere. Ma una chicca c’è: il bootleg in picture disc del 1987, Marc Bolan in America 1972, sul cui vinile 10” è serigrafata una foto del nostro eroe glam spaparanzato su una sedia a dondolo, alle sue spalle un Rock-Ola 1478 Tempo 2 del 1960 da sturbo fulminante.

Facendo una bella capriola temporale arriviamo al r’n’r fradicio che piace a voi lettori di Sottoterra. Nel 1999 la nostra gloriosa Goodbye Boozy inizia a correre nella campestre industria musicale DIY con il 7” I’m Young, Dumb & Full of Cum di quella macchina da guerra che sono stati gli americani The Whittingtons di Ryan Romano, l’uomo dietro la Sack O’ Shit Records . Sulla copertina in b/n d’ordinanza un fantastico Wurlitzer 2204 Console del 1958, nel retrocopertina il suo amplificatore valvolare. Per la cronaca il 45 giri fu eletto singolo del mese del n. 12 di Bassa Fedeltà, il padre putativo della rivista che state leggendo. Nel 2012 Matthew M. Melton chiude sbrigativamente l’avventura Bare Wires ma continua a scoccare frecce dolciastre di garage pop bizzarro e glammoso alla testa del suo nuovo gruppo Warm Soda. L’esordio è il 7” Reaction su Southpaw. In copertina una ragazzotta giunonica tipicamente Seventies ciuccia una Coca Cola poggiata in modo lascivo su un Seeburg Carnival del 1973.

Rimanendo nell’alveo del pop sbarchiamo in terra d’Albione. Nonostante i Bluetones non siano la mia tazza di thè, va detto che non erano poi così male. A fine settembre 2015, in occasione del tour di reunion per il ventesimo anniversario della band, i londinesi hanno distribuito via Acid Jazz un 7” in edizione limitata con le versioni demo del loro maggiore successo Slight Return, che nel ’96 arrivò al secondo posto nella chart inglese, e del primissimo singolo No. 11 (Bluetonic). La cover art ritrae un maestoso Seeburg KD Select-O-Matic da 200 selezioni del 1957 con la spettacolare griglia frontale che richiama i fanali posteriori delle Cadillac.

La parola magica juke-box è presente in una montagna di titoli di canzoni. Di seguito la mia personale selezione in ordine cronologico. Let The Juke Box Keep On Playing di Carl Perkins del 1955; Juke Box Baby di Perry Como e la meno edulcorata Juke Box, Help Me Find My Baby dei Rhythm Rockers di Hardrock Gunter del 1956; Rollin’ To The Jukebox Rock di Benny Joy del 1957; Radio Jukebox and TV del 1958 cantata dall’inquieto Jimmy Donley che si suicidò poco più che trentenne. L’ottima Little Jukebox di Wayne Newton del 1961; Juke-Box (If I Didn’t Have A Dime To Play The Juke-Box) degli olandesi The Cats datata 1965; Hello Jukebox dell’oscuro cantante country Russ Mann del 1968. Jukeboox Jive dei Rubettes e Jukeboox Queen della Glitter Band entrambe del 1974; Put A Bullet Thru The Jukebox della punk-psych-garage band di Washington DC The Slickee Boys e Johnny Jukebox del sottovalutato gruppo power pop irlandese Radiators (from Space) del 1978; la celeberrima Rebellious Jukebox dei Fall e la misconosciuta Bomb In The Jukebox degli olandesi Speedtwins del 1979. Wurlitzer Jukebox! degli Young Marble Giants e Juke Box dei canadesi Payola$ del 1980; il leggero rockabilly Jumpin’ Jukebox dei Bird Dogs del 1984; la disturbante Human Jukebox dall’omonimo album degli Scientists e la soave Southern Jukebox Music della Penguin Cafe Orchestra del 1987; Jukebox Lullabye dal primo album dell’89 di Chris Cacavas & Junkyard Love.

L’esilarante tarda hit del 1990, Jukebox in Siberia, degli australiani Skyhooks; la lo-fissima Jukebox in Brasil dei Royal Trux uscita sul 7” Pell Session 11.93; I Saw Her Standing By The Jukebox degli americani The Rehabs, Hadda Be Playing On The Jukebox dei Rage Against The Machine e la micidiale Jukebox Lean dei grandi New Bomb Turks targate 1996; addirittura il 7” del 1999 della ‘falsa’ Mexican rockabilly band chiamataCarlos & The Bandidos con Jukebox Rock sul lato A e Jukebox Jezebel sul lato B. Jukebox Padlock degli Hard Feelings del 2000; Jukebox Killers della fast hc band giapponese The Sprouts del 2003; Jukebox Maniac dei Wooden Tit di Don Howland pubblicata nel 2006 dalla beneamata Hate Records e Jukebox (Shake) degli svizzeri Giant Robots su Voodoo Rhythm sempre del 2006; Jukebox Generation degli street punkers mancuniani Goldblade e Suffering Jukebox dei Silver Jews del 2008; Jukeboox Sunshine della indie pop band inglese The Holloways del 2009; Jukebox Jesus dei francesi Dum Dum Boys del 2011; fino a The Jukebox Will Cure My Ills del folle electro trash rocker viennese Al Bird Dirt, contenuta nella cassetta Lost Home Recordings (1999–2009) pubblicata pochi mesi fa dalla Cut Surface.

Il Belpaese non è rimasto con le mani in mano. Nel 1980 Edoardo Bennato ha pubblicato due album di gran successo, Sono solo canzonette e Uffà! Uffà!. Da quest’ultimo è stato estratto il singolo, invero abbastanza insignificante, Sei come un juke-box. In copertina il nostro, sornione, con le mani in tasca e le gambe incrociate, dà le spalle a un favoloso AMI JDI-200 del 1958.

Il 1980 è anche l’anno dell’esordio solista di Alan Vega. Il singolo, che darà all’allora quarantaduenne Boruch Alan Bermowitz un’inaspettata attenzione mainstream, s’intitola Juke Box Babe. In realtà il pezzo è tutt’altro che commerciale. Ha una struttura lineare e balbettante con una mefitica progressione weird rockabilly. Alan Vega adorabilmente sfiatato e con quella vocetta nasale da Paperino eroinomane fa pace con le sue radici, ovvero il rock and roll degli anni ’50. Visto che parliamo di giganti è d’obbligo menzionare anche Link Wray che nel 1971 pubblica il terzo, omonimo album. Uno dei più rilassati della sua discografia, non per niente sancisce l’ingresso nella scuderia Polydor. Un disco cantato (bene, peraltro), molto country e gospel-blues, per lo più fatto di sonorità acustiche. Per dire, spesso e volentieri Link imbraccia il dobro e nella toccante Black River Swamp a farla da padrone è il mandolino. Il terzo pezzo, ovviamente il mio preferito, s’intitola Juke Box Mama: una sorta di r&b funkettoso e indolente che fa pensare a James Brown ubriaco dopo una cena a casa di Van Morrison.

Avendo tirato fuori Mr Rumble mi piace chiudere la terza puntata delle Cronache del Juke-Box ricordando Billy Miller che ci ha lasciati da poco. Tra i tanti meriti della sua Norton Records c’è quello di aver dato alle stampe dieci 7” nella Jukebox Series dedicata a Link Wray & The Raymen inaugurando la Norton Eight Hundreds, così chiamata poiché le serie JB sono identificate con il prefisso 800. Sul sito dell’etichetta c’è questa frase che sottoscrivo col sangue: “Qui al quartier generale della Norton ci godiamo la compagnia di un Wurlitzer e di tre Seeburg. A voi sprovvisti di juke-box consigliamo vivamente di evitare di gettare il vostro denaro su moderni congegni multimediali, di salvare le monetine per un juke-box e non vi guarderete mai più indietro”.

Miriam Linna & Billy MIller of Norton Records, photographed at their home in Brooklyn for Dust & Grooves.

La terza e ultima parte delle Cronache del (mio) juke-box è stata pubblicata sul n. 8 della Rock Zine SOTTO TERRA di maggio 2017.