CRIMINAL PARTY
La Revolution Bourgeoise
(Downbeat & Pink House)
Da che mondo è mondo i gruppi si prendono e lasciano come amanti impazziti. Non è una novità. I palermitani Criminal Party del tira e molla hanno quasi fatto una cifra stilistica. Dalla metà degli anni ‘80 ad oggi hanno cambiato pelle diverse volte, provando anche a fare il grande salto.
A trent’anni esatti dagli esordi tornano con un album garage rock d’antan che si rifà, per loro stessa ammissione, al punk californiano di fine ’70. Una sorta di concept sull’impoverimento della borgesia “che non riesce più ad avere il ruolo fondamentale nella società moderna, ruolo che ha avuto sin dall’ inizio della cosiddetta era moderna a partire da subito dopo la rivoluzione francese”, come strilla la nota stampa. Un pezzo come Wasted Life, ad esempio, è dedicato “a tutti gli imprenditori, che accerchiati dalle difficoltà economiche hanno deciso di farla finita”.
Rispetto il loro messaggio, ma in tutta sincerità me ne strasbatte il cazzo. A me interessa la musica e su questa vorrei dire due parole. Tanto per iniziare che le voci femminili di Lisjac e Vicky Jam si intrecciano bene dimostrando apprezzabili capacità melodiche (Join Us!, We Hate You) senza mai svaccare. Tuttavia, da uomo grezzo e binario quale sono, ciò che più mi piace è quando spingono sull’acceleratore facendoci entrare nel gorgo di furia iconoclasta che fu di Dianne Chai degli Alley Cats, Jennifer Miro dei Nuns ed Exene Cervenka degli X, ma anche di Pauline Murray dei Penetration e della nostra Lilith degli indimenticati Not Moving.
Regista della faccenda è Fabio Vinciguerra, fondatore del gruppo e autore delle musiche e dei testi, nonché produttore del disco. Le sue chitarre pennellano colorati quadretti ritmici con ghirigori psych e spruzzate fuzz nei punti giusti, giocando bene con i vuoti delle tastiere di Francesco Amato.
Al netto di una produzione che trovo un po’ levigata con le voci troppo in evidenza e dell’originalità che ha residenza altrove, La Revolution Bourgeoise è un buon disco.