THE LINGS: West Coast sound e power pop made in Italy

Dove sta scritto che l’Italia non può avere un grande gruppo power pop contemporaneo? Genere che per suonare credibile richiede freschezza e maturità, oltre che talento. Tutte caratteristiche possedute dai Lings, quattro ragazzi che provengono dall’asse tra Mantova est e la bassa veronese e che nel corso degli ultimi anni hanno accumulato esperienze in gruppi belli duri come Antares, Komet, Dots, High School Lockers, Thunder Bomber.

Chiedo al cantante e chitarrista Paul come è nato il progetto musicale e cosa li ha spinti ad abbracciare sonorità più morbide: “Durante il Lockdown mi sono ritrovato con un sacco di canzoni e bozze messe da parte negli anni e ho scelto di arrangiarle con Bryan, Alberto e Andrea, che oltre ad essere amici di lunga data sono anche ottimi musicisti. Il pop r’n’r ci accompagna da sempre, credo che questo tipo di forma canzone sia il filo conduttore di tutte le formazioni a cui abbiamo preso parte. Anche nel punk più duro sentiamo la necessità di costruire un pezzo catchy. Inoltre io e Bryan facevamo parte dei Tree House Society, band power pop nata dalle ceneri degli Highschool Lockers, e una decina d’anni dopo con i Lings abbiamo ripreso il discorso rock-melodie-coretti”.

Un discorso che porta lontano. Agli anni ‘60 e ‘70 della West Coast, con armonie vocali e arrangiamenti che disegnano nostalgie luminose sulla sabbia. Rimanendo in California, anche al jangle pop folk ipnotico degli Allah-Las. Paul non sembra molto d’accordo: “Sarò sincero, non ho ancora capito perché ci paragonino agli Allah-Las, se c’è una vena psych surf viene dal riverbero fenderoso di Albe che ha Dick Dale in testa e nelle mani, oltre a una fortissima impronta jazz. E ad ogni modo le nostre influenze musicali non vanno oltre il 1999, di questo sono abbastanza certo”.

Come ho scritto nella recensione del loro primo album: “Senza tirarla troppo per le lunghe i Lings non sbagliano una virgola, cesellando ogni singolo passaggio dei 12 ispiratissimi pezzi”. L’esordio omonimo è stato pubblicato da Slack, un collettivo che ha sede ufficiosa a Gradara (PU): “Il collettivo Slack è molto semplicemente un gruppo di amici musicisti fissati per l’underground, mossi da stima reciproca e passione per l’autoproduzione. Gli abbiamo dato un nome che incita alla pigrizia e che ci rappresenta a pieno. Una decina di anni fa abbiamo iniziato a stampare in CD gli album delle nostre band per poi allargare la produzione a proposte esterne che ci vanno a genio, senza troppi limiti di genere. Ci dedichiamo anche all’organizzazione di concerti e di produzione grafiche”.

Per concludere mi faccio raccontare come è andata con la Kool Kat Music, l’etichetta statunitense che ha co-prodotto l’album e che nel proprio catalogo può annoverare nomi importanti del calibro di Nick Lowe, Plimsouls e Psychotic Youth: Kool Kat Music l’ho scovata l’anno scorso cercando etichette che potessero promuovere l’album oltreoceano. Ray mi ha risposto nel giro di poche ore desideroso di stamparne un CD e di farlo girare tra gli appassionati sparsi per il globo di questa nicchia che è il power pop. La cosa che lì per lì mi ha fatto sorridere è che l’etichetta ha sede a Mantua, nel New Jersey… l’ho considerato un segno del destino!”.

Una versione slim di questo pezzo-intervista è stata pubblicata su RUMORE di aprile 2023, nella sezione “Futura”.

Impatto e poesia di strada dell’Aussie Rock a grana grossa

CIVIC Taken By Force (Cooking Vinyl/ATO)

Il secondo album del quintetto di Melbourne è stato prodotto dal vecchio frontman dei Radio Birdman. La butto subito sul tavolo l’informazione di servizio perché, ascoltandolo e riascoltandolo, credo che Taken By Force abbia proprio le stimmate youngeriane. Curioso apprendere che quando si è profilata questa possibilità, per via di amicizie parentali comuni, i ragazzi della band non credevano che Rob Younger accettasse il lavoro. E invece il vecchio Bob pare abbia detto sì all’istante.

Che sia un album di Aussie Rock a grana grossa ce lo dimostra l’attacco killer con End Of The Line: un girotondo di chitarre grosse e soniche, velate di una nervosa malinconia. Ancor più incisivo il micidiale assalto punk di due minuti Fly Song introdotto da feedback ambientale e da una rullatona infinita. Subito dopo, come a frenare la mula, arriva la ballata wah wah pregna di nostalgia Trick Of The Light con una vocalità dura ma controllata che ricorda quella dell’Iggy Pop crooner e del sempre sia lodato Steve Kilbey dopo l’aerosol. Un pezzo nel quale i Civic si imbizzarriscono nel ritornello dando sfogo ai peggiori bassi istinti chitarristici.

A tal proposito, avendo appena tirato dentro i due noti personaggi di cui sopra, non posso che controfirmare le parole di un recensore americano che ha scritto: “Come se The Church e The Stooges si scontrassero in uno strano e glorioso universo alternativo”.

Taken By Force è stato registrato in un posto isolato dal mondo, a Elphinstone, un paesino di appena 500 anime a un centinaio di km da Melbourne. Un disco urgente per chi lo ha realizzato e necessario per noi ascoltatori. Jim McCullough ha una voce stentorea che ti fa sentire la presenza. Per dire, in Neighbor Sadist fa il domatore di leoni tenendo a bada i suoi compagni. Un disco capace anche di dispiegare un bell’arcobaleno di colori e sapori, penso a Blood Rushes che potrebbe essere la loro anima power pop con quelle voci raddoppiate che fanno tanto anthem street punk.

Un disco che mostra in tutto il suo logorato splendore l’impatto e la poesia di strada dell’Aussie Rock a grana grossa.

Acidi raggi melodici sull’asfalto grigio di Nuova York

THE MEN New York City (Fuzz Club)

Noise evangelico, post hardcore coi capelli al vento, psichedelia alla griglia, art rock suscettibile in grado di fratturarti il setto nasale, country diagonale (o, se preferite, cow punk), space rock da fattoni tedeschi, fino al progressivo digrado verso un classic rock figlio di tutti e di nessuno, che alza un gran polverone southern.

In quindici anni di spasmodica attività musicale i newyorkesi The Men hanno coperto l’intero arco costituzionale del rock and roll underground. Una eterogeneità, seppur all’interno di un perimetro definito, che è stata una delizia ma anche una discreta croce.

Diciamo che negli ultimi album, fino a Mercy del 2020, di dritto o di rovescio Neil Young, Bob Dylan, Creedence Clearwater Revival, finanche i Doors, sono entrati sempre più nei loro dischi: tutti, o quasi, marchiati Sacred Bones.

E si iniziava ad averne abbastanza.

Col passaggio alla Fuzz Club i prolifici broccolini Mark Perro e Nick Chiericozzi si fanno una bella nuotata nelle acque torbide. A piene bracciate. Nessun intellettualismo in questi dieci pezzi saturi, registrati in presa diretta in un’inevitabile medio-bassa fedeltà. Dentro c’è solo l’asfalto grigio di New York illuminato da acidi raggi melodici.

L’apertura affidata a Hard Livin’ è un manifesto d’intenti con quel piano parkinsoniano, le chitarre a frusta bdsm, la voce stiracchiata che arriva direttamente dai bassifondi disastrati del garage punk.

Ancor più estrema l’isterica progressione hard stoner di Echo che si sfalda nello slabbratissimo anthem r’n’r God Bless The USA. La lentezza minacciosa di Eye e Round The Corner rappresenta i quasi 1.000 km che dividono New York da Detroit. Proto punk basico, depravato, spossante, in puro stile Stooges. Through The Night riporta ai tempi del glam punk vagabondo non ancora mascherato con zeppe, lustrini e inutili chincaglierie, che si divertiva a struprare l’hard rock. In chiusura si tira il fiato nella luminosa disperazione paisley di Anyway I Found You e con River Flows che pare un cero acceso alla memoria di Mark Lanegan.

New York City è un album r’n’r punk coi controcazzi.

Ciò che avete appena letto è la versione espansa della recensione pubblicata su RUMORE di febbraio 2023.

E allora mambo!

MAMBO KIDZMambo Kidz (Budget Living/Goodbye Boozy)

Dai sotterranei delle terre verdiane – più precisamente dall’ambientino di Shitty Life, Dadar, e Wah’77 – viene fuori come una scorreggia serale sotto il piumone questo spassoso divertissement garage rock cantato in italiano. Cosa che è di per sé un’anomalia, visto che pochissimi rocker del Belpaese tengono le palle per cantare rock and roll nella nostra lingua temendo, spesso a ragione, di cadere nel ridicolo. Chi lo fa tende inevitabilmente a virare verso il beat o l’hc, a parte rare eccezioni: ho già scritto da qualche parte che tra i contemporanei apprezzo Mutzhi Mambo, Gli Sportivi, I Selvaggi, Gli Offesi, Cuore Matto, Dirtiest, Bone Machine… a cui ora si aggiungono questi Mambo Kidz.

“Un gruppo nato in zona rossa covid”, come mi dice uno dei due chitarristi Luoca No, che salta le trappole e spalma su una bella cassettina gialla quattro pezzi lo-fi dal leggero afflato epico, con ritmiche Sonics e gagliarde chitarre proto punk. Sarà che sono fresco dell’ascolto del disco della rentrée, be’ a me ricordano gli spagnoli Doctor Explosion. Insomma: a Parma ne sanno qualcosa di budget rock. E, colpetto dopo colpetto, continuano a dimostrarlo.

PS: in Ohio c’è una cittadina di circa 80.000 abitanti che si chiama Parma, in realtà è una specie di sobborgo di Cleveland, una volta capitale dell’industria pesante che ha sfornato gruppi come Pere Ubu, Rocket From The Tombs, Pagans, Dead Boys, Electric Eels. Direi che tutto torna.

https://budgetliving.bandcamp.com/album/mambo-kidz

Post punk scheggiato, ruggine noise, arcobaleni monocolore

GLAAS – Qualm (Static Shock)

Dieci inni disturbati e disturbanti di nichilismo e anarchia. Non poteva essere altrimenti visto che il supergrupp(ett)o in questione ha preso forma e sostanza nel grigiore creativo berlinese, nel post punk fatto di mattoni scheggiati, nella ruggine noise, negli arcobaleni garage psichedelici monocolore.

Ma, per quanto disturbanti, sempre di inni si tratta.

Maestro di cerimonie Alexis Zakrzewska che con la sua voce arrochita velenosissima sorvola il terreno arido reso gommoso dal basso rimbalzante della spagnola Raquel Torre (vi consiglierei di ascoltare An Ode To Ravachol e The Moon). O, come in Easy Living, segue con un’indolenza carica di livore la chitarra lavica di Seth Sutton: uno che via Mississippi ha fatto marachelle con Ty Segall e miracoli weird punk nei troppo poco considerati Useless Eaters. La quota carisma e sintomatico mistero è nelle dolci mani di Cosey Mueller che piroettano impazzite sul synth.

Questo non è un album facile. Per niente. Pieno com’è di ronzii, fratture e minacce sonore fa venire il mal di testa. Un bel mal di testa.