Avevo passato una grande estate. Un’estate di Cazzaniga e di bagordi seri che non mi davano il tempo di pensare al futuro… futuro che a quel tempo mi illudevo potesse sorridere a quelli come noi, citando una canzone dei Diaframma che sarebbe uscita di lì a qualche anno. Dopo l’estate con il cervello a folle del 1998, ero tornato a vivere a casa dei miei. Nella casa dove ero nato. Il 30 ottobre avrei compiuto 26 anni.
Un bel pomeriggio alzo la cornetta del telefono fisso, digito il prefisso 06 e chiamo la Hate Records. Mi risponde Pierluigi Bella. È gentile e serio, qualità che apprezzo in egual misura negli esseri umani. Gli ordino due produzioni della sua etichetta: il 33 giri appena dato alle stampe della compilation First Italian Punk Contest e il 10” A Touching Date che vede su un lato gli italiani Temporal Sluts, sull’altro i californiani The Humpers di cui ho già i 7” Space Station Love e Sarcasmatron.
Quei dischi li consumo, letteralmente. La compilation mi fa andare fuori di testa soprattutto per Bingo, Thee S.T.P., Two Bo’s Maniacs, Temporal Sluts e per la meteora giocosa Punk al Muro di cui canticchio senza sosta l’inno situazionista-fancazzista O’ Cafè. Ne scrivo su un free press della mia città. E quella sarà la prima recensione della mia vita.
Quei dischi mi (ri)aprono un mondo. Sto parlando del garage punk lo-fi spinto allora dalla fondamentale rivista rumorosa diretta da Luca Frazzi, Bassa Fedeltà, e da una manciata di zine tra cui l’altrettanto fondamentale Hate del già citato Pierluigi e della sua compagna Chicca.
I Temporal Sluts non mi escono più dalla testa. A spizzichi e bocconi i comaschi continuano a incidere 7”, split, EP, senza mai dare alle stampe un album vero e proprio. In realtà un mezzo album lo avevano pubblicato nel 1996, agli esordi, il 10” Bad News Never Come Alone che contiene 7 pezzi tra cui l’inno Mafia Boys. Il vinile non l’avevo mai ascoltato fino ad un paio d’anni fa quando mi è stato gentilmente regalato dall’ex chitarrista del gruppo Marco Perroni/Rufoism, oggi apprezzato pittore nonché chitarrista dei Boozers di Bologna, città nella quale vive e lavora da diversi anni.
Da quell’estate del ’98 sono passati 18 anni.
Io mi diverto ancora a scrivere di musica, cosa che faccio regolarmente e se la matematica non è un’opinione sono diventato una scribacchino rock maggiorenne.
Sono tornato a casa dei miei dove ora vivo con due splendide donne.
I miei sono diventati il mio: ovvero mio padre ché la terza splendida donna della mia vita se n’è andata troppo presto, pace all’anima sua.
Qualche mese fa i Temporal Sluts hanno finalmente pubblicato il loro primo, vero album Modern Slavery Protocol su Area Pirata, etichetta che non mi stancherò mai di ringraziare per quello che ha fatto al r’n’r italiano negli ultimi 15 anni e che sta continuando a fare.
Un disco senza fronzoli. Teso, secco, duro come la pertica della palestra Mazzini dove sgambettavo al liceo, con nessuno dei 10 pezzi che supera i tre minuti, viva dio. Ignoranza e melodia punk’n’roll si fanno lo sgambetto: cadono, si rialzano e poi tornano a correre più veloci di prima. La voce di Rob Slut non perde un colpo, si abbenda e moccica di default. C’è l’imbarazzo della scelta. Fractured Mantra, il rock’n’roll rauco e un po’ lascivo Rum Dark Room, il basso imponente che gonfia di groove il punk terso MSP, il drago a tre teste con le gambe di Usain Bolt Liquid Fever.
Peraltro coi Temporal Sluts ora ci suona la chitarra anche Miguel Basetta, ottimo giornalista musicale che prima di entrare negli stadi batteva i campetti di periferia mostrando già una certa classe. Mi riferisco alla gran bella fanzine Oriental Beat.