48 album del 2020

Nel 2020 ho compiuto 48 anni e la sagra continua, come cantava Lou X. Ecco i 48 dischi che mi hanno fatto più compagnia durante questo anno balordo (+ altri 5 album italiani di straforo).

35 album stranieri

1. THE COOL GREENHOUSE “The Cool Greenhouse” (Melodic)

2. ROLLING BLACKOUTS COASTAL FEVER “Sideways To New Italy” (Sub Pop)

3. THE CHATS “High Risk Behaviour” (Bargain Bin/Cooking Vinyl)

4. IDLES “Ultra Mono” (Partisan)

5. STIFF RICHARDS “State Of Mind” (Legless/Drunken Sailor)

6. BRAT FARRAR “Adventures In The Skin Trade” (Beast)

7. HOLY WAVE “Interloper” (The Reverberation Appreciation Society)

8. SPECIAL INTEREST “The Passion Of” (Thrilling Living/Night School)

9. TRUE SONS OF THUNDER “It Was Then That I Was Carrying You” (Total Punk)

10. FONTAINES D.C. “A Hero’s Death” (Partisan)

11. DESTINATION LONELY “Nervous Breakdown” (Voodoo Rhythm)

12. CHUBBY & THE GANG “Speed Kills” (Static Shock)

13. COCKTAILS “Catastrophic Entertainment” (Alien Snatch!/Wizard+Potions)

14. SCIENCE MAN “Science Man II” (Big Neck/Swimming Faith)

15. CATHEDRALE “Houses Are Built The Same” (Howlin’ Banana)

16. IZZY & THE BLACK TREES “Trust No Me” (Antena Krzyku)

17. RAVI SHAVI “Special Hazards” (Almost Ready)

18. COOL JERKS “England” (Night Versus Day/Tapetalks)

19. VINTAGE CROP “Serve To Serve Again” (Anti Fade/ Upset! The Rhythm)

20. THE SATANIC TOGAS “X-Ray Vision” (Goodbye Boozy)

21. SMARTS “Who Needs Smarts, Anyway” (Anti Fade/Feel It)

22. TONY DORK “Struggle Street” (Legless)

23. COACH PARTY “Party Food” (Chess Club)

24. THE STROPPIES “Look Alive!” (Tough Love)

25. ZOMBEACHES “Cheers To The Future” (Buttercup)

26. POTTERY “Welcome To Bobby’s Motel” (Partisan)

27. THE HOMESICK “The Big Exercise” (Sub Pop)

28. L.A. WITCH “Play With Fire” (Suicide Squeeze)

29. X “Alphabetland” (Fat Possum)

30. THE SPYRALS “Same Old Line” (Fuzz Club)

31. THE HANNAH BARBERAS “Into The Wild” (Spinout Nuggets/Gazer Tapes)

32. ADULKT LIFE “Book Of Curses” (What’s Your Rupture?)

33. GIRLATONES “Horn If You’re Honky” (Meritorio/Lost And Lonesome)

34. LITHICS “Tower Of Age” (Trouble In Mind)

35. BOOTCHY TEMPLE “In Consummated Bloom” (Howlin’ Banana/Safe In The Rain)

10 album italiani

1. BEE BEE SEA “Day Ripper” (Wild Honey)

2. HALLELUJAH! “Wanna Dance” (Maple Death)

3. MOVIE STAR JUNKIES “Shadow Of A Rose” (Teenage Menopause)

4. MANIAXXX “The Last Nightmare Of Captain Mission” (Beast)

5. GOLDEN SHOWER “Dildo Party” (Area Pirata)

6. THE DIRTIEST “Sovranista” (Slovenly)

7. BIG MOUNTAIN COUNTY “Somewhere Else” (Porto)

8. GLI SPORTIVI “Special Breakfast” (Flue)

9. WASTED PIDO “Wasted Pido Ghost Revenge” (Macina/Burning Sound/Dead Music/Road Sweet Road/Rotten Babuino)

10. BRAVATA “Bravata” (White Zoo)

+ altri 5 album italici, dai… DAYGLO DEMONS “Dayglo Demons” (Fakirs Bay Autoproduzione), MOTOSEGA “Another Lost Chance To Shut Your Mouth” (Slack/Sonatine/Tuscia Clan/ControCanti/DIY Kambo/Distrozione), THE MANGES “Punk Rock Addio” (Striped), NERO KANE “Tales Of Faith And Lunacy” (Nasoni/Bloodrock/Anacortes), SDH “Mad Show” (SHAM Foundation)

… infine 3 album “pop” cantati in italiano

LILA ENGEL “Labirinti/Lallazioni” (Skank Bloc)

PERTURBAZIONE “(dis)amore” (Ala Bianca)

UMBERTO PALAZZO “L’eden dei lunatici” (Autoproduzione/Diggers Factory)

Tu cavalca, cavalca mio cowboy

THE COWBOYSRoom of Clons (Feel It)

Non di rado con Arturo Compagnoni ci sentiamo per sincerarci di non star scrivendo dello stesso disco per Rumore. Di solito sono io a chiedergli se posso andare con questo o quel gruppo di un paesino sperduto dell’Australia o della profonda provincia americana. Non parlo di roba distribuita ufficialmente in Italia, ma di gruppi che ci andiamo a cercare. Di base, e penso di poter parlare anche a suo nome, siamo degli irriducibili curiosi e nonostante l’età ancora andiamo scrivendo perché ascoltare musica fresca è semplicemente la nostra più grande passione.

Bene, a ‘sto giro – Rumore di maggio – Arturo mi ha fregato sul tempo. In realtà entrambi abbiamo inviato la recensione dello stesso disco e l’ha spuntata lui perché la recensione in questione è inserita nell’ottimo boxino “Indie” che Arturo gestisce da anni.

Mi riferisco a Room of Clons dei Cowboys, gruppo di Bloomington, Indiana, il capoluogo della Contea di Monroe che ha dato i natali anche ai grandi e sottovalutati Gizmos, come ricordavo nella recensione del loro quarto album, Volume 4, finita in testa al mio boxino “Weird RnR” su Rumore di novembre 2017. Esattamente un anno fa, a maggio, 2019, sempre su Rumore scrivevo del loro quinto album, The Bottom Of A Rotten Flower, chiudendo così: “La scrittura è più classica, più a fuoco, gli arrangiamenti non sono telefonati e le dinamiche hanno un ottimo respiro. I ragazzi mettono tanta carne al fuoco, forse troppa, ma che sappiano il fatto loro è indiscutibile”.

Il punto è che i Cowboys dal 2014 hanno pubblicato più di un album l’anno. Una prolificità che indurrebbe ad allentare la presa – è oggettivamente difficile stargli dietro – a maggior ragione per chi come me (e Arturo) si eccita ascoltando nuovi gruppetti di base. Eppure, c’è un eppure, è proprio avvincente seguire passo passo le loro orme perché nello sparigliare le carte in tavola questi ragazzi qui mostrano la classe cristallina dei (cattivi) maestri.

E allora partiamo dall’inizio di Room of Clons, dai 47 secondi strumentali di Clon Time: praticamente una falsa partenza, l’attacco di un pezzo synth punk melodico abortito sul nascere. La vera partenza è il fulmine Wise Guy Algorithm che porta Billy Childish nella sala prove dei PUSA. Molto bene, ma ecco che arriva il primo salto mortale nella calda foschia wave di The Beige Collection e subito dopo lo scherzetto Days che con quel kazoo impertinente non può che fare pensare alla geniale goliardia di Jonathan Richman. Poi tocca alla ballata da accendino al vento A Killing e alla tysegallata dolceamara intitolata Devil Book. L’andazzo lieve, nostalgico, si fa improvvisamente zuccheroso con il gran numero garage pop Martian Childcare che punta dritto all’ahinoi ostracizzato Matthew Melton, finché le spazzole jazzy non accarezzano il rullante in Sweet Mother Earth e s’alza silenziosa la preghiera al pianoforte Ninety Normal Men. E sono solo i primi nove pezzi, ne mancano altri quattro. Per chiudere cito quella che considero la perla più preziosa dell’album: Susie, Susie, la nuova Lola dei Kinks in salsa indie destinata a un sereno insuccesso.

Nuovo 7”, nuovo video e nuovo tour dei Nuovo Berlino

Una serranda abbassata di un comune garage. All’interno tre ragazzi suonano una canzone altrettanto comune, proprio come le loro facce. È il video, spartanissimo, di Quarantine, title track del nuovo 7” dei New Berlin marchiato Goodbye Boozy. Meno di un minuto e mezzo di wave secca che guarda al (post) punk e al (no) budget rock. Segue la cover disossata di Teenage Werewolf dei Cramps, ma questa la ascolterete quando il 7” sarà disponibile: presumo roba di giorni.

I New Berlin sono un giovane trio di McAllen, cittadina della Contea di Hidalgo, che si trova sulla punta meridionale del Texas al confine con il Messico. Il cantante e chitarrista Michael Flanagan ha iniziato da solo nell’estate del 2015, alla fine dell’anno la formazione si è assestata come trio con l’ingresso di Gustavo Martinez al basso e Andrew Richardson alla batteria. L’anno seguente è uscito il loro primo 7” flexi per la Super Secret Records di Austin. I due pezzi del singolo, tra cui la cover di The Drawback dei Warsaw, sono finiti anche nell’album d’esordio Basic Function, pubblicato a fine 2016 dalla tedesca Erste Theke Tonträger. Dell’ellepì, che mi è piaciuto molto, ho scritto sul numero di Rumore di dicembre.

I New Berlin saranno in Europa dal 17 al 27 maggio. Quattro le date in Italia: il 21 a Rovereto, il 23 al Sound di Teramo, il 24 al Fanfulla di Roma, il 25 a Parma.

Il Rumore degli Smiths

Una volta scherzando, ma neanche troppo, ho scritto che tendo a dividere gli appassionati di musica “alternativa” in due categorie: chi ha comprato almeno un disco degli Smiths in tempo reale e chi no. Appartenendo orgogliosamente alla prima categoria ho aggiunto (scherzando, ma neanche troppo) che non voglio parlare di musica con chi fa parte della seconda.

Strangeways, Here We Come l’ho comprato da Chroma Dischi a Natale del 1987, avevo compiuto 15 anni solo due mesi prima. E quel disco ha contribuito a farmi diventare quello che sono adesso, nel bene e nel male.

Senza tirarla per le lunghe sono orgoglioso che Rumore, il giornale su cui scrivo ogni mese da circa 15 anni, sul numero di ottobre abbia dedicato la copertina e un lungo approfondimento a Morrisey e compagni. Soprattutto ai compagni. Quelli che vengono erroneamente considerati i gregari: Andy Rourke e Mike Joyce, intervistati da Rossano Lo Mele e Nicholas David Altea. Puntuale e lucida la disamina della ristampa deluxe di The Queen Is Dead di Diego Ballani. Di un altro pianeta, come al solito, il pezzo personale sugli Smiths firmato da Maurizio Blatto.

IL CONTRORUMORE DI THE FRESH & ONLYS

A mio avviso la band di San Francisco ha un grosso problema. Quello di fare musica sospesa in una sorta di limbo. Musica troppo leggera, troppo pop, troppo commerciale per i duri e puri ma non abbastanza leggera, pop e commerciale per l’industria discografica che conta.

In Wolf Lie Down confluiscono jangle pop epico, Americana languida, psichedelia elastica, garage rock barocco (volume su Dancing Chair, please), country folk lattiginoso, senza farsi mancare il tocco western di Becomings che è un bel pezzo morriconiano, certo, ma non mi convince più di tanto.
C’è da dire per onestà che partono carichi con una title track fatta di chitarre stratificate e quel mood da James che io ho molto amato; proseguendo con il gran bel numero One Of A Kind grondante umori West Coast e vagamente Allah-Las nella parte iniziale, con una voce così calda e avvolgente che mi ha riportato subito a Steve Kilbey degli australiani Church.

Nonostante gli amici e colleghi rumorosi Arturo Compagnoni e Diego Ballani (gente che stimo e che ne sa a pacchi) ne abbiamo scritto bene portandomi a ascoltare e riascoltare il disco più di quanto le mie orecchie avrebbero voluto, trovo Wolf Lie Down discreto ma impalpabile. Uno di quegli album che metti nel lettore cd dell’auto e ti accorgi che non sta suonando più solo quando viene interrotto da Isoradio: e non è una frase ad effetto, ché m’è successo davvero questa estate.
Dopodiché c’è da chiedersi, direi legittimamente, perché un gruppo come i Coral ha pubblicato sette album su major e loro altrettanti con etichette indipendenti.

Sì perché i Fresh & Onlys, oggi rimasti una questione a due tra Tim Cohen e Wymond Miles, nell’ultimo decennio hanno cambiato casacca spesso e volentieri pubblicando album per tutte e ribadisco tutte le etichette giuste: a partire dalla Castle Face di John Dwyer degli Oh Sees che li ha svezzati nel 2008, passando per Woodsist, Captured Tracks e In The Red, fino ad arrivare alla più modaiola Mexican Summer. Molto attivi anche sul versante singoli ed EP – ad oggi si possono contare più di 15 titoli in catalogo – che li hanno portati ad avere sul retrocopertina i loghi di Hardly Art, HoZac, Trouble In Mind, Agitated, Volar e Sacred Bones, oltre a quelli già citati e ad altri ancora più oscuri.

Al settimo album i ragazzi di San Francisco attuano l’ennesimo ribaltone (oddio, ribaltino va’…), accasandosi con la Sinderlyn, neonata etichetta dell’Omnian Music Group del newyorkese Mike Sniper: un tipo con la mani in pasta che ha creato la Captured Tracks, ha lavorato come illustratore per Black Lips, Dead Moon e Jay Reatard, nonché bizzarro musicista dietro il progetto Blank Dogs durato giusto un par d’anni e ancor prima coriaceo punk rocker alla testa di DC Snipers e dei primi LiveFastDie di quell’album eccezionale intitolato Bandana Thrash Record.