Del perdere pezzi e ritrovarli dentro due piccoli dischi

Sono stati pubblicati diversi mesi fa. Zöe dei NIGHTSHIFT a fine febbraio, What’s Growing dei WURLD SERIES a metà marzo. Come al solito non sto sul pezzo, piuttosto li perdo i pezzi. Questi due piccoli album li ho scoperti solo in estate. Per caso. Girovagando su Bandcamp. E me li sono gustati in cuffia, sotto l’ombrellone, mentre vedevo scivolare passivamente ciabatte e piedi nudi sulla passerella in cemento che porta al mare.

Mi sento anche un po’ in colpa perché entrambi gli album sono stati scelta del mese nel boxino “Indie” di Arturo Compagnoni su Rumore. Una mia lettura fissa, per fiducia nei confronti di Arturo e pure perché siamo dirimpettai. Ma, come dicevo, sto perdendo colpi. Sarà la pandemia, la galoppante miopia, l’aver deviato sovente dalla sharia (leggasi retta via). Sia quel che sia, questi album qui sono stati proprio una gran bella compagnia.

Un viaggio onirico quello del combo di Glasgow tra sperimentazione, post punk, indie kraut morbido e ipnotico. Orange Juice e This Heat. Ok. Ma anche Sugarcubes, almeno nella mia testa. Degli Sugarcubes saggi e pacificati che si riformano 30 anni dopo per andare in tour sulla luna. Un piccolo miracolo l’arrivo della chitarrista, cantante e clarinettista Georgia Harris mentre la band stava scrivendo Zöe. Come sono miracolosi il basso rotondo di Fences, i sintetizzatori siderali e i droni di Outta Space e Power Cut, le voci piene di grazia che riempiono Infinity Winner, la sezione ritmica pulsante di Romantic Mud e della title track. Inedite delicatezze arty per le mie orecchie foderate d’amianto. Ma al cospetto di un’eleganza così minimalista e misurata è facile capitolare.

Altra storia quella dei Wurld Series di Luke Towart che una decina d’anni fa ha piantato baracca e burattini e dal natio Lancashire si è trasferito a Christchurch, Nuova Zelanda. Uno più uno di solito fa due. In questo caso il lirismo folky britannico si è compenetrato con il suono sghembo di marca Flying Nun. In mezzo il meglio dell’indie rock dinoccolato ma non troppo degli anni ’90: dai sempreverdi Pavement ai Superchunk, passando per i Weezer in rotta sulle Hawaii nel fulmineo chitarrismo di neanche un minuto e mezzo Grey Man.

È bello perdere pezzi e poi ritrovarli dentro due piccoli dischi. Sì, è proprio bello.

Vita e Malavita

JOE PERRINO – Canzoni di Malavita III pergrazianonricevuta (Freecom Music)

Nicola Macciò, ai più noto come Joe Perrino, si è guadagnato il rispetto in decenni di palchi e dischi: dal garage beat dei Joe Perrino & The Mellowtones agli Elefante Bianco, passando per l’esperienza londinese con Horse London e The A.D. Show. A metà degli anni ’90 si è avvicinato al teatro canzone in un lungo percorso che lo ha portato a recuperare vecchi brani della malavita di cui oggi pubblica questo terzo volume.

In tutta onestà ho seguito poco e a distanza il dopo Mellowtones del nostro. Il fatto è che non amo i tatuaggi e non ho mai subito il fascino della malavita. Gli unici contatti per così dire criminali li ho avuti quando un mezzo malavitoso slavo importunò una mia ex fidanzata e trovandomelo di fronte mi cacai addosso e compresi al volo che era meglio girare i tacchi alla svelta; oppure leggendo i romanzi di Nicolai Lilin o guardando con le terga sul divano Romanzo Criminale (film e serie tv), Gomorra (film e serie tv), Suburra (solo film) non trovandoli poi così travolgenti. Posso aggiungere al mio pingue curriculum nel settore che di tanto in tanto sbircio sul canale Youtube del Cicalone/Scuola di Botte i video dei quartieri criminali romani, che sono stato in carcere una sola volta per via di un lavoro di ricerca e mi ha preso male persino lasciare gli effetti personali al gabbiotto dell’entrata.

Stop.

Quanto appena dichiarato mi avrebbe dovuto far evitare un disco del genere. Cosa che avrei fatto se non avessi ri-incontrato Joe Perrino in occasione del nuovo, inaspettato e spettacolare 7” del gruppo sardo, di cui ho scritto su Rumore (qui potete leggere il pezzo). È questo il motivo per il quale mi sono messo di buzzo buono ad ascoltare Canzoni di Malavita III – pergrazianonricevuta.

C’è da dire subito che più dell’eleganza di Ornella Vanoni – con la complicità di Giorgio Strehler – e del sentire profondo di Gabriella Ferri, in questo album c’è piuttosto il zum zum di paese in una centrifuga di Vinicio Capossela, Castellina-Pasi e Bandabardò con un tocco di De André: con i pro e i contro del caso (a proposito: mi spiace molto per la prematura scomparsa di Erriquez, nonostante la sua Banda mi abbia sempre detto poco più di nulla).

Graziella, recuperato dalla tradizione carceraria orale, è il pezzo più deandreiano con il suo carico di insicurezza, perdita e tremenda vendetta. Liscio a go-go in Sangue Innocente che, a dispetto di un incedere da sagra paesana annaffiata di vino e colori estivi, disegna a carboncino una storia di autolesionismo figlia della detenzione.

Per quanto mi riguarda va molto meglio quando Joe veste i panni del crooner sentimentale a cui hanno spaccato i denti in carcere, come in pergrazianonricevuta, title track dell’album e dell’ominimo film, “che racconta di un viaggio nelle carceri sarde a bordo di un’Ape Piaggio, decorata e trasformata in una sorta di carro votivo di oggetti ricevuti direttamente dai detenuti”. Oppure nella conclusiva Ricominciare Da Capo che inizia con i versi “La felicità è un poliziotto con la pistola” e prosegue con “La felicità è un rapinatore con una bomba” cantati qualche tono sopra, chiudendo la partita con l’auspicio di una rinascita lontano dai guai.

In finale: un album per fan della prima ora e galeotti, meglio se insieme. Io non sono né l’uno, né l’altro. Ma, in fondo, l’ho apprezzato lo stesso. E non è detto che prima o poi non decida di tatuarmi una bella pistola sul braccio circondata dalla scritta Gun Club.

48 album del 2020

Nel 2020 ho compiuto 48 anni e la sagra continua, come cantava Lou X. Ecco i 48 dischi che mi hanno fatto più compagnia durante questo anno balordo (+ altri 5 album italiani di straforo).

35 album stranieri

1. THE COOL GREENHOUSE “The Cool Greenhouse” (Melodic)

2. ROLLING BLACKOUTS COASTAL FEVER “Sideways To New Italy” (Sub Pop)

3. THE CHATS “High Risk Behaviour” (Bargain Bin/Cooking Vinyl)

4. IDLES “Ultra Mono” (Partisan)

5. STIFF RICHARDS “State Of Mind” (Legless/Drunken Sailor)

6. BRAT FARRAR “Adventures In The Skin Trade” (Beast)

7. HOLY WAVE “Interloper” (The Reverberation Appreciation Society)

8. SPECIAL INTEREST “The Passion Of” (Thrilling Living/Night School)

9. TRUE SONS OF THUNDER “It Was Then That I Was Carrying You” (Total Punk)

10. FONTAINES D.C. “A Hero’s Death” (Partisan)

11. DESTINATION LONELY “Nervous Breakdown” (Voodoo Rhythm)

12. CHUBBY & THE GANG “Speed Kills” (Static Shock)

13. COCKTAILS “Catastrophic Entertainment” (Alien Snatch!/Wizard+Potions)

14. SCIENCE MAN “Science Man II” (Big Neck/Swimming Faith)

15. CATHEDRALE “Houses Are Built The Same” (Howlin’ Banana)

16. IZZY & THE BLACK TREES “Trust No Me” (Antena Krzyku)

17. RAVI SHAVI “Special Hazards” (Almost Ready)

18. COOL JERKS “England” (Night Versus Day/Tapetalks)

19. VINTAGE CROP “Serve To Serve Again” (Anti Fade/ Upset! The Rhythm)

20. THE SATANIC TOGAS “X-Ray Vision” (Goodbye Boozy)

21. SMARTS “Who Needs Smarts, Anyway” (Anti Fade/Feel It)

22. TONY DORK “Struggle Street” (Legless)

23. COACH PARTY “Party Food” (Chess Club)

24. THE STROPPIES “Look Alive!” (Tough Love)

25. ZOMBEACHES “Cheers To The Future” (Buttercup)

26. POTTERY “Welcome To Bobby’s Motel” (Partisan)

27. THE HOMESICK “The Big Exercise” (Sub Pop)

28. L.A. WITCH “Play With Fire” (Suicide Squeeze)

29. X “Alphabetland” (Fat Possum)

30. THE SPYRALS “Same Old Line” (Fuzz Club)

31. THE HANNAH BARBERAS “Into The Wild” (Spinout Nuggets/Gazer Tapes)

32. ADULKT LIFE “Book Of Curses” (What’s Your Rupture?)

33. GIRLATONES “Horn If You’re Honky” (Meritorio/Lost And Lonesome)

34. LITHICS “Tower Of Age” (Trouble In Mind)

35. BOOTCHY TEMPLE “In Consummated Bloom” (Howlin’ Banana/Safe In The Rain)

10 album italiani

1. BEE BEE SEA “Day Ripper” (Wild Honey)

2. HALLELUJAH! “Wanna Dance” (Maple Death)

3. MOVIE STAR JUNKIES “Shadow Of A Rose” (Teenage Menopause)

4. MANIAXXX “The Last Nightmare Of Captain Mission” (Beast)

5. GOLDEN SHOWER “Dildo Party” (Area Pirata)

6. THE DIRTIEST “Sovranista” (Slovenly)

7. BIG MOUNTAIN COUNTY “Somewhere Else” (Porto)

8. GLI SPORTIVI “Special Breakfast” (Flue)

9. WASTED PIDO “Wasted Pido Ghost Revenge” (Macina/Burning Sound/Dead Music/Road Sweet Road/Rotten Babuino)

10. BRAVATA “Bravata” (White Zoo)

+ altri 5 album italici, dai… DAYGLO DEMONS “Dayglo Demons” (Fakirs Bay Autoproduzione), MOTOSEGA “Another Lost Chance To Shut Your Mouth” (Slack/Sonatine/Tuscia Clan/ControCanti/DIY Kambo/Distrozione), THE MANGES “Punk Rock Addio” (Striped), NERO KANE “Tales Of Faith And Lunacy” (Nasoni/Bloodrock/Anacortes), SDH “Mad Show” (SHAM Foundation)

… infine 3 album “pop” cantati in italiano

LILA ENGEL “Labirinti/Lallazioni” (Skank Bloc)

PERTURBAZIONE “(dis)amore” (Ala Bianca)

UMBERTO PALAZZO “L’eden dei lunatici” (Autoproduzione/Diggers Factory)

Del nostro tempo rubato e traslochi interiori

Ho visto i Perturbazione dal vivo tre volte. Sempre a Teramo. Tre contesti diversi, tutti molto belli, e tre gran concerti. Pensandoci bene forse li ho visti 4 volte: mi pare di ricordare anche un concerto a Giulianova, ma magari me lo sono inventato. Una ventina d’anni fa fui sedotto da In circolo che ci arrivò al giornale che ai tempi facevamo qui in città. A rapirmi l’abbraccio algido di Agosto, il poppettino intelligentissimo Mi piacerebbe che mi ricordava la meteora Rock Galileo (ed è un complimento), l’intramuscolo sonico Fiat Lux, il cabaret pop Il Senso della vite di cui ho molto apprezzato l’arrangiamento ramonesiano nei live. Poi trovai in un negozietto 36 nella sua bella scatolettina da pizza tutta rattoppata e via via ho preso gli album successivi, quelli su major che facevano presagire il grande salto per il gruppo torinese. Salto, non so quanto grande, che però arrivò solo qualche anno dopo con l’inaspettata partecipazione al Festival di Sanremo. L’unica partecipazione al Festival, in tutti i sensi.

Tra il salto mancato e il salto andato a buon fine i Perturbazione hanno pubblicato l’album che preferisco e che ho addirittura in triplice copia: cd masterizzato con copertina homemade letteralmente consumato dall’autoradio della mia vecchia 500, cd originale ma senza copertina e ora doppio vinile che per un po’ di giorni ho avuto timore di aprire per non sfregiare la delicata copertina in cartone.

Del nostro tempo rubato è un mastodonte di 24 pezzi, un concept pop che non conosce scivoloni verso la noia con alcune gemme preziose come Mondo tempesta, Vomito!, la Title Track, L’Italia ritagliata, Revival revolver, Buongiorno buonafortuna, La fuga dei cervelli, Partire davvero, Io sono vivo voi siete morti (tra Johnny Cash e Samuele Bersani), Promozionale, Niente eroi (da Wilco che rifanno i Denovo), Come in basso così in alto, Last minute e la mia preferita in assoluto Mao Zeitung.

Sono sincero. Ho comprato la versione in vinile di Del nostro tempo rubato approfittando di un’offerta alla London Calling di un colosso del web, ovvero doppio vinile al prezzo di uno e pure basso: “Nice Price”, rimanendo in casa Clash. Ma non è stata solo questa la molla. Quel titolo lì, e l’idea che ci sta dietro, oggi è più che mai attuale. Cosa stiamo vivendo se non uno sfibrante trasloco interiore? Quanti scatoloni si sono accumulati nelle nostre teste? Quanti ne abbiamo aperti e quanti lasciati lì a prendere polvere?

PS: ho scritto una e-mail a Rossano per chiedergli come fare a tagliare il nastro da pacchi che avvolge la copertina senza sfregiare l’album. Il Direttore ha passato la palla a Tommaso il quale educatamente mi ha fatto notare che non a caso hanno intitolato il primo pezzo (niente) Istruzioni per l’uso. Poi mi ha consigliato di propendere “per il buon vecchio cutter, usato solo con la punta, con leggiadria, recidendo il nastro adesivo sul bordo”. Alla fine me la sono cavata con un vecchio coltello da carne dell’Ikea.

Tu cavalca, cavalca mio cowboy

THE COWBOYSRoom of Clons (Feel It)

Non di rado con Arturo Compagnoni ci sentiamo per sincerarci di non star scrivendo dello stesso disco per Rumore. Di solito sono io a chiedergli se posso andare con questo o quel gruppo di un paesino sperduto dell’Australia o della profonda provincia americana. Non parlo di roba distribuita ufficialmente in Italia, ma di gruppi che ci andiamo a cercare. Di base, e penso di poter parlare anche a suo nome, siamo degli irriducibili curiosi e nonostante l’età ancora andiamo scrivendo perché ascoltare musica fresca è semplicemente la nostra più grande passione.

Bene, a ‘sto giro – Rumore di maggio – Arturo mi ha fregato sul tempo. In realtà entrambi abbiamo inviato la recensione dello stesso disco e l’ha spuntata lui perché la recensione in questione è inserita nell’ottimo boxino “Indie” che Arturo gestisce da anni.

Mi riferisco a Room of Clons dei Cowboys, gruppo di Bloomington, Indiana, il capoluogo della Contea di Monroe che ha dato i natali anche ai grandi e sottovalutati Gizmos, come ricordavo nella recensione del loro quarto album, Volume 4, finita in testa al mio boxino “Weird RnR” su Rumore di novembre 2017. Esattamente un anno fa, a maggio, 2019, sempre su Rumore scrivevo del loro quinto album, The Bottom Of A Rotten Flower, chiudendo così: “La scrittura è più classica, più a fuoco, gli arrangiamenti non sono telefonati e le dinamiche hanno un ottimo respiro. I ragazzi mettono tanta carne al fuoco, forse troppa, ma che sappiano il fatto loro è indiscutibile”.

Il punto è che i Cowboys dal 2014 hanno pubblicato più di un album l’anno. Una prolificità che indurrebbe ad allentare la presa – è oggettivamente difficile stargli dietro – a maggior ragione per chi come me (e Arturo) si eccita ascoltando nuovi gruppetti di base. Eppure, c’è un eppure, è proprio avvincente seguire passo passo le loro orme perché nello sparigliare le carte in tavola questi ragazzi qui mostrano la classe cristallina dei (cattivi) maestri.

E allora partiamo dall’inizio di Room of Clons, dai 47 secondi strumentali di Clon Time: praticamente una falsa partenza, l’attacco di un pezzo synth punk melodico abortito sul nascere. La vera partenza è il fulmine Wise Guy Algorithm che porta Billy Childish nella sala prove dei PUSA. Molto bene, ma ecco che arriva il primo salto mortale nella calda foschia wave di The Beige Collection e subito dopo lo scherzetto Days che con quel kazoo impertinente non può che fare pensare alla geniale goliardia di Jonathan Richman. Poi tocca alla ballata da accendino al vento A Killing e alla tysegallata dolceamara intitolata Devil Book. L’andazzo lieve, nostalgico, si fa improvvisamente zuccheroso con il gran numero garage pop Martian Childcare che punta dritto all’ahinoi ostracizzato Matthew Melton, finché le spazzole jazzy non accarezzano il rullante in Sweet Mother Earth e s’alza silenziosa la preghiera al pianoforte Ninety Normal Men. E sono solo i primi nove pezzi, ne mancano altri quattro. Per chiudere cito quella che considero la perla più preziosa dell’album: Susie, Susie, la nuova Lola dei Kinks in salsa indie destinata a un sereno insuccesso.